
SOCIETÀ IN NUMERI
SANITÀ
Spesa sanitaria sottofinanziata. L’Italia conferma il suo trend negativo tra i Paesi europei e dell’Ocse. A ribadirlo è il rapporto pubblicato dalla Fondazione Gimbe sulla spesa sanitaria pubblica in percentuale del Pil e pro-capite, aggiornato al 2024. Per quanto concerne il primo, la spesa sanitaria italiana si ferma al 6,3% del Pil, inferiore alla media Ocse (7,1%) e degli altri Stati europei (6,9%). Per quanto riguarda quella pro-capite, siamo fermi a 3.835$, mentre la media degli altri Paesi supera abbondantemente i 4600 dollari. Il secondo dato è senza dubbio il più preoccupante: «Di fatto in Europa per spesa pubblica pro-capite l’Italia è prima tra i paesi poveri» ha commentato il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta. Il nostro Paese risulta infatti tredicesimo tra gli Stati dell’area Ocse e ultimo tra quelli del G7. A investire maggiormente sulla sanità pubblica risultano anche la Repubblica Ceca e la Slovenia. Un trend negativo che ormai dura da quasi tre lustri. Dal 2011 in poi, i governi hanno operato sempre più tagli e definanziamenti e il gap internazionale si è poi stabilizzato negli anni che hanno seguìto la pandemia. Riprendendo le dichiarazioni di Cartabellotta: «Serve un patto tra tutte le forze politiche, che prescinda dagli avvicendamenti di governo e sancisca un impegno non negoziabile per rifinanziare progressivamente la sanità pubblica (…). È proprio dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire. Da quel divario imponente frutto di una visione arrendevole che ha dimenticato un principio fondamentale: la salute delle persone non è solo un diritto fondamentale ma anche una leva di sviluppo economico e della tenuta sociale del Paese».
SOCIETÀ
Sistema scolastico “bocciato”. Mentre gli alunni italiani si apprestavano a tornare tra i banchi di scuola, l’Ipsos ha pubblicato per il terzo anno consecutivo l’interessante rapporto “Ipsos Education Monitor 2025” che ha raccolto le percezioni e le valutazioni di genitori e studenti rispetto al sistema scolastico. La ricerca, realizzata in 30 Paesi sparsi in tutto il globo, tra cui l’Italia, ha rilevato un diffuso scetticismo verso i regimi scolastici odierni: tra le criticità più segnalate si evidenziano programmi scolastici obsoleti, formazione inadeguata degli insegnanti, mancanza di finanziamenti pubblici, l’inadeguatezza delle infrastrutture e, soprattutto, le nuove sfide educative riguardanti l’utilizzo della tecnologia nell’istruzione. Per quanto riguarda i dati emersi nella Penisola, solo il 24% degli intervistati sembra approvare il sistema educativo nazionale; fanno eccezione i Paesi dell’area britannica (71% in Irlanda, 49% nel Regno Unito). Nella media internazionale, tra le maggiori preoccupazioni segnalate spicca la salute mentale (33%) che supera disuguaglianza (28%), bullismo (26%) e social media (25%). Risultati altalenanti per l’utilizzo dei social dentro e fuori le scuole: il parere degli italiani risulta tra i più “severi”, con l’83% favorevole al divieto dell’utilizzo dei social in età scolare (anche under 14), il 67% al divieto dell’utilizzo dello smartphone e il 46% contro l’utilizzo dell’AI. In calo invece il divario di genere sulle preferenze scolastiche dei ragazzi: i più giovani, si legge sul report, smentiscono la tradizionale classificazione dei c.d. baby boomers (ragazzi: scienze e matematica – ragazze: lingue e letteratura).
POLITICA
Informazione e partecipazione, crisi ventennale. Mentre in queste settimane nelle piazze italiane si è riaccesa la mobilitazione popolare come non succedeva dai tempi pre-pandemici, l’Istat ha pubblicato un interessante report sulla “Partecipazione politica in Italia”. La ricerca, che analizza il lungo periodo 2003-2024, muove dall’ormai persistente calo di affluenza elettorale e una crescente sfiducia nei confronti delle nostre Istituzioni democratiche. Tra i numerosi dati emersi, il report si è concentrato sul calo della c.d. “partecipazione invisibile” (informarsi e discutere di politica). Se il divario di genere è calato, il dato preoccupa ragionando in termini di fasce d’età e titoli di studio. Non si informa di politica l’11,3% dei laureati, il 24,4% dei diplomati e il 41,2% di chi ha la licenza media. Marcate le differenze anche in ambito territoriale: si informa “politicamente” di più il Centro-Nord (54%) del Sud (40%). Nonostante il brusco calo, sorprende come la TV sia ancora il canale informativo più diffuso (84,7%); letteralmente “in picchiata” la quota dei lettori di quotidiani negli ultimi 20 anni (dal 50,3 al 25,4%). La situazione cambia radicalmente se si prendono in considerazione gli under 45 che si informano principalmente su internet (60%). Tra le evidenze raccolte, interessante il dato relativo alla partecipazione a un corteo dei giovani italiani in età scolare: nel 2024 non hanno superato il 3,3%, pari alla metà della partecipazione giovanile rilevata due decenni fa (6,8%). Soprattutto in merito a quest’ultimo dato, la mobilitazione popolare che ha coinvolto studenti e lavoratori nelle ultime settimane potrebbe ribaltare un trend ventennale. Vedremo lo stesso risultato alle urne?
A cura della Redazione

