«Un Paese meno sicuro»

«Un Paese meno sicuro»

Non è il sottoscritto a dirlo e neanche soltanto i partiti d’opposizione, i movimenti, le realtà associative… A sostenere tale conclusione, ossia che il fatidico Decreto Legge 11 aprile 2025, n. 48 (approvato lo scorso 4 giugno) porterà invece meno sicurezza nel nostro Paese, sono gli “addetti ai lavori”: i giuristi, i docenti universitari, magistrati, avvocati, insomma tutti coloro che il diritto lo studiano, lo insegnano e lo praticano per professione. Si potrebbe obiettare che i veri “addetti ai lavori” siano, al contrario, i tutori dell’ordine, che ogni giorno sono tenuti a garantire la sicurezza sulle strade… già qui si genera l’equivoco, che tanto equivoco, sotto sotto, non è, tanto che il decreto sicurezza sembra esser stato studiato e realizzato in buona parte proprio per loro, per le Forze dell’ordine, a discapito dei principi fondamentali di un (normale) stato di diritto.
Fra i tanti giudizi severi che si sono levati dal mondo accademico-giurisprudenziale, vale la pena menzionare il commento del giurista Emilio Dolcini, professore emerito di diritto penale presso l’Università degli studi di Milano. In un contributo pubblicato lo scorso 15 maggio sul portale sistemapenale.it, il professor Dolcini ha introdotto il decreto legge-sicurezza come «espressione di una linea politico-criminale autoritaria che si manifesta almeno su tre piani: il piano dei rapporti tra cittadini e Forze dell’ordine; quello della repressione del dissenso; quello, infine, delle deviazioni dal diritto penale del fatto a favore di un diritto penale d’autore».
In merito al primo punto, Dolcini si sofferma sulla «ipertutela delle Forze dell’ordine» e su tutte le aggravanti che hanno suscitato diversi dubbi di illegittimità costituzionale. Si va dalla cospicua copertura delle spese legali a carico degli agenti indagati alla possibilità, per quest’ultimi, di poter portare armi in luogo pubblico anche quando non sono in servizio. Una disposizione, questa, secondo il giurista lombardo, «dotata di una spiccata potenzialità criminogena».
Sui “rinnovati” reati di rivolta nelle carceri o nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dove tali delitti possono ora palesarsi anche in casi di semplice “disobbedienza” rispetto ai protocolli detentivi, sia pur manifestata pacificamente, Dolcini non usa mezze misure per definire quella che altro non è che un’ulteriore forma repressiva del dissenso, che naturalmente riguarda anche i blocchi stradali e ferroviari ecc: «la disobbedienza civile è diventata reato. Nell’Italia di oggi Gandhi finirebbe in carcere!».
Ma è il terzo punto che più colpisce dell’analisi di Dolcini, ossia della deviazione di un diritto penale del fatto verso un “diritto penale d’autore”. Questa la sua spiegazione: «un diritto penale che guarda non a ciò che l’uomo fa, bensì a quel che l’uomo è, dove per “uomo” deve intendersi una categoria di uomini, ritagliata secondo stereotipi più o meno plausibili». In questa visione puramente repressiva dell’attuale governo, le categorie degli stranieri irregolari, oppositori politici, piccoli criminali ecc… sono naturalmente in pole position.
Sono solo alcuni spunti di un’analisi critica molto più ampia, che da mesi infiamma il dibattito pubblico e politico. Il decreto sicurezza, almeno apparentemente, sembra essere stato approvato a furor di popolo. Ma non è poi così difficile intravedere una ben marcata linea politico-ideologica, neanche troppo celata, dietro queste nuove disposizioni. A preoccupare in sostanza non è solo l’immediato bensì il nostro domani, quello dei nostri figli e, soprattutto, le terribili conseguenze in termini di repressione a cui andranno incontro tutti coloro che, sia pur pacificamente, proveranno a opporsi a tali politiche che non possiamo esimerci dal definirle autoritarie. Non sarà facile, non lo è già oggi, ma se la società civile non si attiverà a difesa dello stato di diritto, gli addetti ai lavori di cui sopra potranno fare ben poco.

Il Direttore Editoriale
Matteo Picconi

 

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