
Società in numeri
Ambiente
Incendi, calo nel 2024. Con l’avvio di un’altra estate rovente, l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato il report relativo agli incendi boschivi che hanno colpito la Penisola nel corso del 2024. I dati emersi sottolineano, da una parte, una concreta diminuzione del fenomeno rispetto alle annate precedenti, dovuta in parte a una maggiore attività di prevenzione e monitoraggio da parte delle forze messe in campo, dall’altra però, il fenomeno tocca punte ancora troppo elevate, distruggendo buona parte degli ecosistemi forestali all’interno delle aree naturali c.d. protette. In estrema sintesi, nel 2024 gli incendi hanno interessato circa 45.783 ettari di superficie, di cui il 36% ha riguardato terreni agricoli. Rispetto ai numeri terribili del 2023, si è registrato comunque un calo del 52%. Tra le regioni più colpite resta in testa la Sicilia, seguita da Calabria, Lazio, Sardegna e Campania. Da segnalare il dato relativo alla Provincia di Reggio Calabria che ha visto andare in fumo circa 10,3 km quadrati, ossia il 41% del totale forestale bruciato in Calabria. Il fenomeno è sempre più “meridionale”, in quanto nelle regioni del Nord non vi sono stati incendi boschivi significativi nel corso del 2024. «I dati del report ISPRA 2024 – si legge in un comunicato di Italia Nostra – sono un richiamo all’azione. Non possiamo più permetterci di considerare gli incendi come un’emergenza isolata o un evento puramente naturale. La concentrazione geografica e la tipologia di ecosistemi colpiti suggeriscono che siamo di fronte a un problema sistemico, profondamente legato al cambiamento climatico, alla gestione del territorio e, purtroppo, spesso all’azione dolosa o colposa dell’uomo».
ISTRUZIONE
Standard Ue ancora lontani. Secondo i dati forniti recentemente dal rapporto annuale 2025 dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), nel corso del 2024 il nostro Paese ha portato dei significativi miglioramenti sul livello dell’istruzione scolastica, seppur con risultati altalenanti a seconda dei territori analizzati, le fasce d’età e del genere. Tra i dati emersi, risulta un aumento del livello d’istruzione degli adulti (tra i 25 e i 64 anni), probabilmente dovuto al ricambio generazionale tra i più giovani – mediamente più istruiti – e i più anziani. Interessante il dato relativo ai giovani (tra i 25 e i 34 anni) con un titolo di studio universitario, che nel 2024 è risultato pari al 31,6%: un valore ancora molto lontano dagli standard stabiliti dall’Unione europea, ossia il raggiungimento almeno del 45% entro il 2030. Altra nota dolente è il tasso d’abbandono del sistema scolastico nella fascia d’età 18-24 anni che, a livello nazionale, è pari al 9,8%. Fenomeno che tocca le punte più elevate a Sud (12,4%), mentre è più elevato tra i ragazzi (12,2%) piuttosto che tra le ragazze (7,1%). Anche su questo fronte, la soglia prevista dall’Ue non dovrebbe superare il 9% e l’Italia dovrà rientrare nei parametri sempre entro il 2030. Preoccupanti i dati relativi ai giovanissimi (15-19 anni) che non studiano e non svolgono alcuna attività lavorativa (i c.d. Not in Education, Employment or Training, abbreviato NEET) che rappresentano oltre il 15% della popolazione compresa tra i 15 e i 29 anni; tra i NEET risultano più numerose le ragazze (16,6%) rispetto ai ragazzi (13,8%); a livello macroregionale, il fenomeno è chiaramente più presente nel Mezzogiorno (23,3%) rispetto alle regioni del Centro-Nord (10,7%).
SANITA’
Liste d’attesa scoraggianti. Secondo una rielaborazione dei dati Istat effettuata dalla fondazione Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), nel 2024 il fenomeno della rinuncia alle cure, da parte dei cittadini, è aumentata principalmente per le lunghe e impossibili liste d’attesa; motivazione che si va ad anteporre, per la prima volta, a quelle di natura economica. Il tutto a un anno di distanza dal Decreto Legge sulle liste d’attesa (DL 73/2024) che, denuncia Gimbe, «non ha ancora prodotto benefici concreti per i cittadini». I numeri, d’altronde, sono allarmanti: nel corso del 2024, il 9,9% della popolazione (circa 5,8 milioni di persone) – ha rinunciato ad effettuare almeno una prestazione sanitaria; il numero delle rinunce risulta in aumento rispetto al 2023 (7,6%) e al 2022 (7% circa). Ad allarmare è la motivazione che sta alla base delle rinunce, quella delle lunghe liste d’attesa, salita del 51% rispetto all’annata precedente. Un aspetto quasi sorprendente, seppur in negativo, evidenziato da Gimbe, è che tale andamento è omogeneo anche su base territoriale, in quanto coinvolge tutta la Penisola (9,2% al Nord, 10,7% al Centro e 10,3% al Sud). Non trascurabile ad ogni modo la motivazione economica sulle rinunce alle cure, comunque in aumento nell’ultimo triennio (dal 3,2% nel 2022 al 5,3% nel 2024) e che riguarda circa 3 milioni di persone. Trattasi di una vera e propria emergenza che «non si risolve a colpi di decreti – ha sottolineato il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta – (bensì) richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie».