Regionalismo differenziato, cosa si rischia?

Regionalismo differenziato, cosa si rischia?

Presentato in Senato il progetto Calderoli sulla “autonomia differenziata”: quali sono i possibili effetti sulla sanità pubblica?

Lo scorso 23 marzo è stato presentato in Senato il Ddl “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario” poi assegnato in I Commissione Affari costituzionali, dove si trova tutt’ora.
Nel testo promosso dall’attuale Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, il cui iter sarà comunque molto lungo, si vorrebbe perseguire l’autonomia differenziata, che in parole molto semplici non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una Regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di attuale competenza concorrente e in tre casi di materia esclusiva dello Stato.
Tra le 20 materie che ad oggi risultano di competenza concorrente tra Stato e Regioni c’è la Sanità o, meglio, come indicato nel comma 3 dell’Art. 117, “la tutela della salute”, che passerebbe quindi sotto l’esclusiva competenza delle Regioni secondo il nuovo disegno di riforma.
L’attuazione di maggiori autonomie in sanità, storicamente caldeggiata proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggiore capacità di attrazione, ha generato una marea di commenti “a caldo” tra gli addetti ai lavori, a dire il vero tutti negativi. L’accusa principale che viene mossa alla riforma è quella di amplificare, con la sua applicazione, le inaccettabili diseguaglianze registrate con la semplice competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. Ovvero, il rischio concreto è che con il regionalismo differenziato, applicato al settore della sanità, si andrà a legittimare il divario tra Nord e Sud, violando così…

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