Dissesto idrogeologico: l’inversione di rotta che non arriva mai

Occorrono anticorpi robusti contro l’impatto del climate change: programmazione e investimenti seri sul fronte della prevenzione e della messa in sicurezza del territorio invece degli stanziamenti disordinati a catastrofe avvenuta. Ma c’è la volontà della politica?

«L’ennesima catastrofica alluvione suggerisce un’osservazione elementare: lo sfasciume dell’Italia ha la sua causa vera nell’impermeabilità dei politici… In un Paese che ha un sesto del territorio sottoposto a erosione, le cui frane ci costano circa mille miliardi di lire l’anno… solo una diga di parole, di lamentazioni e di promesse non mantenute è stata eretta contro la pioggia».
Così, con argomentazioni perfettamente sovrapponibili al quadro attuale, il 10 ottobre 1977 Antonio Cederna, uno dei padri nobili dell’ambientalismo italiano, commentava sulle pagine del Corriere della Sera il conto salato che il dissesto idrogeologico presenta ciclicamente e inesorabilmente ad un Paese che per la sua morfologia è assai esposto a terremoti, frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche e altre calamità la cui frequenza e il cui impatto sono tanto più gravi quanto più si alterano i già precari equilibri naturali.
Le terribili scene che ci arrivano dalle lande dell’Emilia Romagna recentemente alluvionate si ricollegano alle tragedie di Sarno e Soverato, Ischia e Vajont e a tante altre italiche catastrofi che il cinismo minimizzatore e fatalista di certi osservatori ascrive tout court al climate change, come se le scellerate responsabilità di chi ha dissennatamente gestito il territorio dagli anni del boom economico ad oggi potessero essere annegate nel mare magnum del mutamento ambientale globale, comodo capro espiatorio per esorcizzare i devastanti fenomeni atmosferici ……..

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