Caritas, dignità e possibilità

Caritas, dignità e possibilità

Non solo carità ed elemosina bensì restituire alle persone più svantaggiate una nuova opportunità di vita, spesso una chance lavorativa, quindi un concreto inserimento nella società. Ne abbiamo parlato con Giustino Trincia, direttore di Caritas Roma

In un momento storico così complicato come quello che stiamo attraversando, funestato da pandemie, guerre, carestie, devianze giovanili e in cui la risposta della collettività, ormai disillusa dalle risposte della politica, sembra essere quella di chiudersi a riccio nella propria individualità, esistono ancora delle realtà poste a baluardo contro la disgregazione sociale ormai in atto. Una di queste perle rare è sicuramente la Caritas.

Caritas è la traduzione latina della parola greca “agápē” che risuona nel Nuovo Testamento col significato di “amore gratuito”. Dossier Sicurezza ha voluto informare i suoi lettori sull’importanza dell’operato di questo ente ecclesiastico in tutte le sue articolazioni, attraverso la testimonianza di Giustino Trincia, direttore di Caritas Roma.

Giustino Trincia. Nato a Spoleto, vive a Roma dal 1984. Ordinato nel 2015 Diacono permanente della Diocesi di Roma, il primo settembre 2021 è stato nominato dal Cardinal Vicario per la Diocesi di Roma S. Em. Angelo De Donatis, Direttore della Caritas diocesana e, in ragione di questo ufficio, egli è anche Presidente della Fondazione. Da sempre nella Comunità parrocchiale di Santa Maria Madre della Provvidenza, segue la pastorale per le persone povere e le famiglie in difficoltà e le cellule parrocchiali di evangelizzazione. Laureato in Analisi delle politiche pubbliche e in Scienze religiose, da molti anni è impegnato nella difesa dei consumatori dapprima presso “Cittadinanza attiva” (di cui è uno dei soci fondatori) e poi presso l’ABI (Associazione delle Banche Italiane). Dal 2019 condivide l’esperienza della “Comunità Laudato Sì Roma 2” e collabora con la “Fondazione Salus Populi Romani” della Diocesi di Roma, per la prevenzione e la lotta al sovraindebitamento e all’usura. Dall’ottobre 2020 è il segretario della Consulta Nazionale Antiusura “San Giovanni Paolo II” Onlus.

Che tipo di ente è la Caritas?

La Caritas è l’ufficio pastorale della Diocesi di Roma che ha un compito molto chiaro e che fu affidato da Paolo VI nel 1972 (anno di nascita della Caritas), quello di promuovere la testimonianza della Carità innanzitutto nelle nostre comunità parrocchiali religiose. Questo è il suo compito primario. Questa attività significa dare il primato alla funzione pedagogica, quindi di informazione, di sensibilizzazione, ed è un’attività volta a coinvolgere quanti più possibili battezzati credenti con un’apertura ai fratelli e sorelle provenienti da altre esperienze che abbiano come priorità il valore della dignità umana nell’ottica di “Fratelli Tutti”, l’Enciclica che Papa Francesco ci ha donato e che insieme a “Laudato Sì”, da una parte, e ai Vangeli, ci ha offerto un immenso valore che porteremo avanti per decenni.

Quali sono i servizi che vengono offerti?

Oltre a svolgere questa funzione pedagogica, Caritas è stata incaricata anche di promuovere delle “Opere Segno” che sono dei luoghi dove poter incontrare persone fragili, famiglie in difficoltà provenienti dalle più disparate culture, etnie, tradizioni e anche credo religiosi. Però le “Opere Segno” sono anche opere che nella loro realizzazione non hanno la pretesa di risolvere i problemi enormi che ha l’umanità, presenti anche nel nostro Paese, ma sono “segni” in quanto possono fornire un indirizzo più ampio nelle Istituzioni pubbliche e nelle realtà associative di vario genere attraverso il volontariato. Possono dare un contributo per intervenire sulle cause che determinano queste grandi problematiche, quindi i servizi sono quelli che di volta in volta vengono individuati secondo la realtà in cui si opera e in base a quelle che sono le principali problematiche.

Abbiamo servizi rivolti ai poveri, a persone in condizioni di miseria, ai senza dimora. Abbiamo degli ostelli di prima accoglienza dalla strada a un letto e un pasto. Solo le mense diocesane hanno fornito nell’ultimo anno 340.000 pasti; la mensa più grande, “Giovanni Paolo II” a Colle Oppio, ogni giorno arriva a dare 550-600 pasti e questo tutto l’anno, Pasqua, Natale, Capodanno Ferragosto.

Ci sono poi servizi rivolti alle famiglie, centri dedicati ai minori non accompagnati oppure centri per donne sole o abbandonate o sfruttate e con bambini. Proprio in questi giorni è stato attivato anche un servizio sperimentale di consulenza legale a via Marsala. Offriamo anche servizi di prima assistenza sanitaria presso il nostro Poliambulatorio di via Marsala dove quest’anno, per altro, festeggiamo i 40 anni.

Nel 2022 sono venute persone provenienti da 101 Paesi diversi. Ci sono empori della solidarietà, cioè dei veri e propri supermercati dove le famiglie prese in carico dalle parrocchie, o dai nostri centri di ascolto diocesani, possono acquistare prodotti di prima necessità, generi alimentari per la prima infanzia, gratuitamente, attraverso dei punti che si ottengono in base ai colloqui che ci permettano di capire le varie necessità e soprattutto quale possa essere la progettualità per far sì che si possa uscire dalla condizione di precarietà. In base a questo possono, per un anno, fare la spesa gratis. Ne abbiamo cinque nella città di Roma e sono ormai 160 in tutta Italia.

Offriamo anche dei servizi di Adult education per gli stranieri, facciamo corsi di italiano e diamo un orientamento anche per l’inserimento lavorativo; abbiamo creato da poco “l’officina delle opportunità”, un progetto che portiamo avanti con Roma Capitale, la Regione Lazio e con il Vicariato di Roma; insieme a loro cerchiamo di operare per inserire lavorativamente persone povere, in difficoltà, perché quello che chiedono è dignità. La dignità non è continuare a dare loro elemosina, un grande valore certo, ma non può essere la soluzione. La dignità sta nel dare una chance lavorativa, di inserimento lavorativo.

Abbiamo anche servizi di formazione. La Caritas di Roma ad esempio fa un grosso lavoro proprio di formazione dei volontari delle comunità parrocchiali e religiose; su 331 parrocchie a Roma, 222 sono collegate in rete e sono dotate di centri d’ascolto, perché poi il primato è l’ascolto, bisogna partire da questo, dalla capacità di costruire una relazione possibilmente di amicizia. Insomma il lavoro non manca, purtroppo.

Nei centri giovanili di prima accoglienza per minori non accompagnati ci rendiamo conto che nel nostro Paese il problema è molto cresciuto negli ultimi anni e così mettiamo a disposizione anche dei centri di aggregazione giovanile. Abbiamo case famiglia come casa San Giacomo, che sta proprio in via del Corso e ospita famiglie povere provenienti da diversi paesi, che hanno i propri figli all’Ospedale Bambino Gesù e non possono permettersi un alloggio (e non avrebbero altri mezzi per curare i propri figli); vengono ospitati anche per periodi di due, tre, quattro mesi grazie anche all’opera quotidiana di cinque donne appartenenti all’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità, anch’esse residenti nella struttura. C’è anche una piccola cappella per pregare per i cattolici e uno spazio per la preghiera ad uso di altre religioni; c’è poi un piccolo spazio per il gioco dei bambini. A Villa Glori c’è un centro per l’Alzheimer. Segnalo queste esperienze perché magari sono meno conosciute.

Portiamo avanti un’attività di sensibilizzazione per il problema dell’azzardo, della ludopatia. Collaboriamo con molte scuole e con la fondazione “Salus Populi Romani” che si occupa appunto di sovrindebitamento, di azzardo e di ludopatia che è una grande piaga. Purtroppo serviva che alcuni calciatori famosi venissero coinvolti in maniera piuttosto clamorosa per poter fare luce su un fenomeno che noi segnaliamo da parecchi anni e che coinvolge e cattura soprattutto i giovani. L’azzardopatia – non usiamo la parola ludopatia perché ludo evoca il gioco ma non c’è nulla di giocoso in tutto questo – è una patologia, quello che non si comprende è che abbiamo a che fare con una vera e propria malattia a fronte della quale l’Italia, parlo soprattutto per Roma e per il Lazio, è poverissima di servizi sanitari per la cura di questa piaga che sta devastando tanti giovani e questo perché l’azzardopatia si sta sviluppando soprattutto sui canali online, distruggendo parecchie famiglie.

Quali sono le figure che lavorano per la Caritas?

Noi abbiamo parecchi centri che sono aperti 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno; tutti questi servizi possono funzionare grazie all’ausilio di centinaia e centinaia di volontari. Prima del covid erano poco più di duemila volontari, parliamo di quelli fissi con almeno un turno a settimana. Accanto a questi ci sono poi diversi operatori professionali che svolgono un ruolo indispensabile, sia per garantire la continuità di questi servizi ma anche per la qualità delle proprie competenze.

La Caritas di Roma ha promosso una vera e propria cooperativa, “Roma solidarietà”, con personale qualificato: parliamo di medici, infermieri, assistenti sociali, educatori, collaboratori di comunità, psicologi. Abbiamo poi persone brave nella formazione. È questo connubio tra volontari e operatori professionali molto motivati che ci consente di animare servizi che mettiamo a disposizione e che peraltro, consentono anche a centinaia e centinaia di giovani, provenienti da tutta Roma ma anche da tutta Italia, di fare delle settimane residenziali di esperienza. Di questi operatori ce ne sono circa cinquemila, soprattutto studenti, che fanno esperienza di volontariato o per una settimana o per un giorno, però non sono i volontari stabili.

Quante persone riesce ad aiutare la Caritas nell’arco di un anno?

Nel 2022 sono state prese in carico in tutti i servizi della Caritas, cioè sono seguiti e accompagnati, 11.600 persone; se ne aggiungano altre 20.000 che sono entrate in contatto o che hanno usufruito almeno una volta dei servizi della Caritas. Fornisco un altro dato: solo a Roma il centro d’ascolto per stranieri, nato nel 1981 quando c’erano i primi profughi etiopi che volevano andare in Canada – e quindi Roma era un punto di passaggio – vennero registrate 360 mila persone straniere, un numero superiore a quello registrato dalla Questura di Roma.

Quindi sono più gli stranieri che sono arrivati a Roma dal 1981 ad oggi nei centri d’ascolto Caritas che quelli registrati dalla Questura. Quante sono le sedi operative in Italia?

Sono 216 le Caritas diocesane, poi abbiamo la Caritas Europea e la Caritas International; ogni diocesi ha un ufficio pastorale che ha questo mandato che coinvolge tutta la comunità. Ecco, forse non l’ho detto prima, segnalo che per la Caritas di Roma abbiamo due ostelli, uno a via Marsala e l’altro a Santa Giacinta dove c’è anche un centro odontoiatrico e dove abbiamo medici professionisti affermati che offrono gratuitamente il loro tempo per fornire cure odontoiatriche a persone che, altrimenti, non avrebbero accesso a questo servizio così importante. Però queste sono gocce nell’oceano perché ci sono migliaia e migliaia di persone senza tetto o in condizione abitative di estrema precarietà.

Immagino che il numero delle persone aiutate negli ultimi tre anni sia aumentato notevolmente?

È aumentato tantissimo i primi due anni del covid (2020 – 2021) a causa dell’aumento della povertà ma anche perché molte altre organizzazioni erano chiuse mentre noi siamo rimasti sempre aperti, tutti i giorni. Fortunatamente dal 2022 i numeri sono andati riducendosi proprio perché hanno poi riaperto le altre mense e chi aveva il lavoretto irregolare ha poi potuto riprenderlo e quindi non aveva più bisogno di prendere il pasto alla Caritas. Comunque la povertà è in crescita, a Roma e in tutta Italia, sotto molteplici aspetti: lavoro povero irregolare, mal retribuito, lavoro in nero, c’è poi il problema dell’abitazione e, molto grave, il tema delle solitudini.

Il 45% delle famiglie residenti a Roma sono mononucleari cioè composte da una sola persona, se poi colleghiamo questo dato con i dati demografici, con l’invecchiamento della popolazione capiamo quali possano essere le problematiche delle solitudini, intese sotto molteplici aspetti non ultimo quello relazionale. Crescono le condizioni di disagio in famiglie che sono divise, magari i genitori sono qui mentre i figli sono andati chissà dove per trovare qualche chance lavorativa.

Stanno crescendo anche i problemi legati al non accesso al servizio sanitario nazionale che sta diradando oltre misura la propria presenza. Ci sono liste d’attesa che sono vergognose. Il 28-29 settembre, Repubblica ha pubblicato i dati da cui risulta che circa un italiano su cinque rinuncia alle cure; siamo quindi vicino al 20% della nostra popolazione e questo non può che aggravare le problematiche.

Stiamo attraversando una grave emergenza legata alla sicurezza perché gira tantissima droga e si moltiplicano così le forme di dipendenza – oltre che dal gioco – da sostanze stupefacenti e da alcolici. Abbiamo un problema evidente a Roma per quanto riguarda le giovani generazioni che per definizione sono alla ricerca di significati di vita, di contenuti, di motivazioni profonde e ciò che invece sono costretti ad assorbire sono solo proposte commerciali, consumistiche, all’insegna del primato dell’Io anziché del primato del Noi e quindi delle relazioni di una logica non individualistica.

Abbiamo tanti feriti e tanti morti in questo “campo di battaglia” che è l’Italia, dovuto al fatto che certi problemi sono presenti da anni, perché non stiamo parlando di cose particolarmente nuove: il lavoro, l’abitazione, le cure sanitarie, sono problemi che stanno sul tappeto da decenni e che adesso, però, si sono aggravati… e quando si aggravano esplodono.

Certamente alcune patologie sociali si sono manifestate più di recente come quella dei social. Attraverso la rete si è sviluppato e si sta sviluppando l’azzardopatia, il cyberbullismo, il revenge porn. Per un like non si esita a rischiare la propria vita né quella degli altri. Il problema della sicurezza è notevole ma non si può risolvere soltanto con le misure di pubblica sicurezza, pur necessarie, non si può risolvere solo con la politica della Security, seppur necessaria. Le Forze dell’ordine fanno un lavoro straordinario, noi curiamo molto il rapporto con gli apparati dello Stato e con i tutori della legge, ma non si può pensare di risolvere i problemi all’ultimo, cioè a valle, bisogna invece intervenire a monte. Non si possono richiedere risposte solo a chi interviene per arginare le forme di violenza e di sicurezza; serve un approccio diverso, un approccio politico, è questo quello che manca.

Possiamo aggiungere alle varie dipendenze giovanili anche la dipendenza da cellulare?

Sì. Certamente le dipendenze sono da cellulare oltre che da droga, da alcol, dal gioco o dal sesso. Sono dipendenze molto legate ad una cultura che, ribadisco, incentra tutto sull’Io e che determina la mancanza di limiti per l’uomo, inducendolo a un delirio di onnipotenza che è veicolato dalla mattina alla sera attraverso i canali tradizionali; questo produce un grande senso di sofferenza e di ansia. Non ci si sente mai realizzati ma essere realizzati non significa essere il primo della classe, essere benestante, bello, perfetto e immortale. Una cultura così potente – qualcuno l’ha chiamata “la società liquida” – che produce dei disastri a tutte le età; ci sono persone anziane che si comportano e ragionano ancora come adolescenti, persone adulte che non sono mai cresciute e persone più deboli come gli adolescenti che ne subiscono poi le conseguenze.

Il problema non sono i giovani, sono le centrali “non” educative o le centrali educative di un certo tipo che stanno intorno a loro e su questo bisogna fare un’analisi profonda, critica, attraverso le varie sedi familiari, le scuole, le agenzie educative, compresa la nostra chiesa che evidentemente deve rivedere molto di sé stessa, sia chiaro non stiamo parlando solo degli altri. Purtroppo la situazione è veramente preoccupante.

Al cellulare poi dobbiamo pensare anche come strumento oltre che come cultura, perché come strumento consente la diffusione di alcune tendenze, due in particolare, il Gaming e le scommesse; il Gaming sono comunque scommesse ma fatte con i videogiochi. Prima era più difficile, soprattutto per i giovani: quando un ragazzo entrava in una sala giochi gli si chiedeva il documento e veniva quindi segnato come giovane. Oggi un giovane che invece ha un cellulare con la SIM intestata ai genitori fa risultare che le scommesse sono fatte da adulti mentre l’incremento delle scommesse online è da parte dei minorenni. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa in cui non c’è la SIM per minorenni, concepita in modo tale bloccare determinati accessi.

Io pensavo, oltre a queste specifiche dipendenze, ad una dipendenza più generalizzata. Vedo che quasi tutti i giovani ma anche molti adulti ormai, hanno i canali adibiti alla comunicazione, che sono gli occhi e le orecchie, sigillati da cuffie e monitor di cellulare; sull’autobus, per strada, in qualsiasi situazione, anche al ristorante, vediamo i giovani in gruppo assorbiti ognuno dal proprio cellulare. Questo limita la comunicazione e quindi limita l’esperienza. Ognuno è isolato in sé stesso. Allora le domando, perché secondo lei i media parlano così poco di questa evidente problematica?

Io credo che ci sia una co-essenza di interessi economici spaventosa. Lei sa molto bene che la raccolta pubblicitaria è un potente strumento di condizionamento. C’è il primato del “Dio Denaro”, della commercializzazione a tutti i costi; è una forma sciocca, miope. É proprio il sistema economico che andrebbe rivisto. Se la povertà assoluta in quindici anni è triplicata, siamo passati dal 3,4 al 9,69%, questo dato non è legato alla pandemia o alla guerra, sono le fondamenta del pensiero economico che è stato violato e andrebbe completamente ripensato; questo sistema produce scarti umani. Esiste un problema enorme, i giovani rimangono schiavi del cellulare perché non hanno dai diversi enti la risposta alle loro necessità di senso di vita, di significato. Non ci sono proposte educative, non ci sono agenzie che riescano a mettere in contatto i giovani con la realtà. Siamo circondati da quiz da lotterie, il messaggio che arriva è che se mi va bene mi sistemo per tutta la vita altrimenti sono un fallito. Sono potenti messaggi di contro-educazione e lo Stato su questo guadagna o, meglio, si illude di guadagnare perché i soldi che guadagna lo Stato in realtà li ricaccia fuori con moltissimi interessi per le terapie.

I danni che produce il dissesto economico, sociale, sanitario sono enormi. Tutta una serie di introiti economici che vengono da un settore che non porta un arricchimento dal punto di vista lavorativo o culturale. Chi spende i 10 euro per il gratta e vinci non aiuta nessuno; se invece, per esempio, compra la pizza aiuta un intero settore, da quello agricolo per la raccolta del grano agli stabilimenti per la trasformazione dei cereali in farina, fino al fornaio, il negoziante, il commesso del negozio.

Quindi la responsabilità è dovuta ad una complicità di sistema?

Gli introiti dovuti al gioco d’azzardo lo scorso anno con le lotterie, i Bingo, i Gratta e Vinci, le scommesse online è di 136 miliardi, solo nella Regione Lazio è di circa 9 miliardi, e questo spesso viene taciuto mentre nelle famiglie si creano situazioni di dipendenza, senza contare che se tu hai dentro casa una persona con questa malattia ti porta in rovina, saltano i legami familiari.

Come dicevo prima il principale responsabile in Italia è la politica, le fondamenta stesse della politica, che si è liberata di tutta una serie di responsabilità come quella del governo dell’economia. Questo produce politici e addetti alla comunicazione che non studiano, sono ignoranti, arroganti, non hanno l’umiltà di ascoltare i bisogni primari delle persone. Dovrebbero pensare meno alla propria immagine e pensare invece a dare un contenuto di sostanza a problemi che necessitano di un loro impegno. Perché la politica è una cosa nobile ma bisogna saperla fare. La maggior parte dei problemi sono di carattere politico, ci sono delle scelte di fondo che se fatte bene possono attenuare, se non risolvere, certi problemi altrimenti producono un disastro. Il fatto che si sia bloccato il turnover del personale nel servizio sanitario, il fatto che si sia mandata in pensione prima del tempo tanta gente, ha prodotto Il problema che noi adesso viviamo: non si trovano più medici di famiglia, mancano 60.000 infermieri negli ospedali, 40.000 medici, abbiamo circa 50.000 persone che muoiono a causa delle polveri sottili (abbiamo questo triste record in Europa).

La carità non è solo dare ciò che è indispensabile, come generi alimentari, medicine… quello quando serve lo si fa, ma la carità è agire sulle cause che stanno a monte di tante condizioni di povertà e miseria. Questa è la carità che oggi serve. La carità, oggi, è chiedere alle istituzioni pubbliche e alle imprese di esercitare le proprie responsabilità e non pensare che ci sta la Caritas, la Chiesa, le varie comunità o associazioni di volontariato.

Mi ha fatto molto piacere che la conversazione sia andata su questi temi che personalmente ho sempre molto a cuore ed è anche un piacere constatare che condividiamo lo stesso pensiero. Tornando ai numeri, qual è l’età media dei beneficiari dei servizi della Caritas?

Questo dipende molto dal tipo di servizio. Comunque possiamo dire che tra quelli che si rivolgono nei centri d’ascolto parrocchiali e diocesani parliamo di 11.300 persone prese in carico, l’età media è dai 35 ai 50 anni e sono per il 73% donne, perché nella maggior parte dei casi è la donna che va a chiedere per tutta la famiglia. Diciamo che noi maschietti ci vergogniamo di più e come spesso accade mandiamo avanti le donne. Sono loro che hanno l’umiltà e la forza di venire a chiedere.

E immagino che gli stranieri siano tantissimi?

Non è così, sono il 56% nell’ultimo anno, mentre durante il periodo del covid gli italiani sono stati la maggioranza.

E sul problema dell’immigrazione, di cui ormai si parla sempre di più, qual è il vostro punto di vista?

Sono fratelli e sorelle che vanno accolti, integrati, aiutati. Rimane questo il nostro punto di vista. Noi non guardiamo il colore della pelle o il credo religioso. Avremo sempre più persone che verranno dai Paesi poveri, l’Italia nel Mediterraneo sarà sempre più terra d’approdo per chi ha la speranza di vivere e di sopravvivere e magari cercare di migliorare la qualità della vita. La realtà di queste persone è che fuggono da guerre, da torture, da scarsità di acqua, che non hanno la possibilità di curarsi, di avere l’energia né più né meno di quello che abbiamo fatto noi ai tempi dell’emigrazione italiana. Al momento il numero degli emigrati è ancora gestibile, sia in Italia ma soprattutto nell’intera Europa ci sono ancora spazi e risorse, certamente se il numero dovesse aumentare, come sarà nei prossimi anni, potrebbero nascere seri problemi. Il mio appello è quello di aiutare tutte le persone disperate che chiedono di poter vivere, di avere una chance di vita.

Va anche detto che l’INPS in parte si regge anche grazie ai contributi degli emigrati, le loro quote servono a colmare il nostro deficit. Il messaggio fondamentale è questo: dobbiamo accogliere persone che sono disperate, non si può disquisire se salvare o no vite umane in mare; non è demagogia, stiamo parlando dei fondamentali della vita sociale oltre che della carità Cristiana e, tra l’altro, c’è una gigantesca domanda di manodopera di un certo tipo nelle nostre industrie.

Bisogna mantenersi in contatto con la realtà, non si può sostituire il cervello con la pancia. Le nostre politiche in Italia sono tutte basate sull’emergenza, quando c’è il problema lo si affronta con i criteri dell’emergenza, invece i problemi come l’immigrazione vanno gestiti con dei piani pluriennali, con dei fondi, con persone che vengono preparate per affrontare l’immigrazione, sia a livello delle Forze dell’ordine che del terzo settore, perché questo fenomeno comporta il riconoscimento, la prima accoglienza, l’integrazione, i corsi di italiano. Stiamo parlando di cose che la Germania fa da decenni; è necessario anche portare avanti una adeguata formazione.

Esistono sì dei diritti ma anche dei doveri, delle regole di convivenza. Andrebbe affrontato da persone adulte quello che è un problema assai complesso che esiste da anni e anni. Non solo in Italia o in Europa ma anche in America, ovunque ci sono guerre, carestia, migrazioni forzate a causa del clima. Penso che in situazioni simili ognuno di noi farebbe altrettanto. Ancora una volta voglio sottolineare che la cosa primaria è salvare vite umane, accogliere, integrare e responsabilizzare facendo cultura, informando sia gli italiani che le persone che arrivano.

Siamo molto preoccupati per questo fenomeno crescente dei minori non accompagnati: che fine fanno? Dove vanno? Il rischio che siano vittime di fenomeni di tratte, di schiavismo sessuale, di commercio illegale di organi è molto alto. Diventano manovalanza per la criminalità dove c’è un’offerta di lavoro straordinaria a bassissimo prezzo per il mercato dello spaccio, mentre potrebbero rappresentare una risorsa straordinaria se inseriti nel lavoro legale. Sicuramente ci sarebbe bisogno di una coesione europea degna di questo nome.

Un’ultima domanda, che è più una curiosità: qual è il significato del simbolo della Caritas?

La croce rappresenta per definizione la speranza, perché Cristo ci ha salvato proprio attraverso la croce e quindi noi cerchiamo di aiutare a costruire il regno di Dio su questa terra sapendo che il regno di Dio lo troveremo in maniera compiuta quando ci sarà la resurrezione e incontreremo nuovamente nostro Signore Gesù. Quindi da questo punto di vista è un simbolo di carattere universale, le declinazioni sono molteplici, le declinazioni della carità sono le più disparate perché l’uomo ha delle dimensioni diversificate. Dobbiamo fare discernimento nel tempo e nel luogo in cui ci troviamo per capire quali sono le dimensioni di questa carità.

La ringrazio per questa conversazione così stimolante. C’è qualcosa che vuole aggiungere?

Vorrei fare un appello. Mi farebbe tanto piacere riflettere insieme con le Forze dell’ordine rispetto a quali potrebbero essere i terreni per rafforzare la collaborazione soprattutto dal punto di vista della prevenzione; quindi il dialogo, la riflessione, la ricerca di terreni di collaborazione attorno all’uomo, sapendo che il lavoro delle Forze dell’ordine, a cui noi siamo grati, è molto complicato. Sono rimasto commosso, pochissimo tempo fa, quando ho appreso che il personale che lavora presso alcuni commissariati romani ha organizzato per parecchi giorni una colletta per dare il cibo e i prodotti di prima necessità a minori non accompagnati che stavano in mezzo alla strada.

di Vittorio Vannutelli

 

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