Sottile Incanto

Sottile Incanto

Il mondo di emozioni in un blog

In sei storie diverse (tutte sue)

Sottile incanto è una blogger quarantaduenne italiana, romantica senza speranza, donna, sottomessa, bisessuale, “Curvy”, un po’ Kinky e un po’ nerd…

 

  • La quantità dell’amore

Ci sono persone che hanno un modo particolare di amare. E a quelle persone lì, quel modo di amare non glielo puoi togliere dal cuore. Non glielo puoi togliere dagli occhi, dalle mani, dalla bocca, dal viso. Quel modo di amare assoluto, forse un po’ infantile o animale, perché in fondo è la stessa cosa: i bambini ancora conservano il segreto dell’amore immediato, istintivo, completo, senza compromessi. A quelle persone non puoi chiedere di amare “un po’ meno”, perché un amore così può travolgere o spaventare chi non l’ha mai assaporato e vissuto. E allora non ti resta che scegliere: o ti giri e te ne vai, oppure ti lasci amare ogni giorno.

 

  • Un amante

L’estasi del suo corpo… L’incanto degli arabeschi delle vene appena sotto la pelle. La leccavo con devozione, sentendo la vita pulsare sotto la lingua. Il miracolo dei nervi così sensibili, che si rispondevano gli uni gli altri in un dialogo infinito di pressioni, calore, consistenze, sfioramenti. La meraviglia di tendini e muscoli, il loro disegno solido e fluido nei movimenti, quel crearsi e ricomporsi di avvallamenti e colline che non mi stancavo mai di esplorare. La struttura delle ossa, l’impalcatura di cui seguivo i contorni con delicatezza, disegnando la sua pelle con la punta delle dita. Così lo imparavo, tratto a tratto, imprimendo ogni millimetro in questa memoria tanto labile e pronta a svanire. Così lo ricreavo ogni volta, come se non l’ avessi mai conosciuto, perché non c’era per me preghiera più fervente, adorazione più sentita.
Aveva capelli ricci e scuri, con qualche filo bianco che lo rendeva ancora più attraente. Quanto amavo passare le mani tra quei capelli, appena un po’ ruvidi al tatto, folti, al punto da cadere ogni tanto a nascondergli gli occhi. Non avevo mai visto un viso così interessante, lontano dai canoni classici di bellezza, ma forse per questo ancora più difficile da ignorare o dimenticare. Aveva uno sguardo luminoso, profondo, incredibilmente dolce… Quanto non ci si sarebbe mai aspettati da un uomo come lui, distaccato e incostante. E quella bocca… Non aveva labbra carnose, ma deliziose e sensuali, era impossibile non volerle divorare di baci. Avevo sempre amato gli uomini dalla pelle molto chiara, mentre la sua era delicatamente ambrata, morbida e così buona…il suo profumo mi riportava alla mente la dolcezza delle mandorle e l’aroma notturno e languido delle zagare. Le sue carezze mi facevano pensare al mare aspro e avvolgente di alcune coste della Sicilia, dalle rocce taglienti e arroventate dal sole, rese fragranti dai rami contorti della lavanda e del rosmarino. Quelle mani delicate, che con tanta maestria sapevano rendermi docile ai suoi desideri…

 

  • Il mio uomo

Tu, che non conosci la dolcezza del tuo corpo mentre dormi. Che non sai come ti ascolto respirare, quanto mi godo il tuo calore e il profumo della tua pelle. Che non sai come mi culla il battito del tuo cuore, regolare, tranquillo, oppure affrettato quando mi diverto un mondo a farti eccitare. Così te la faccio pagare per tutte le volte che mi prendi in giro, io che non saprei più come fare se non ci fossi tu a farmi ridere. Che tanto poi lo so che me la fai pagare, mi vieni sopra e mi prendi con tutta la voglia e il gusto del mondo. Tu, che non lo sai che certe volte ti guardo fare una cosa qualunque e mi commuovo, che mi sembra di avere il cuore troppo piccolo per contenere tutta questa bellezza. E no, non mi riferisco solo alla tua bellezza che cinque minuti dopo averti visto già ti avrei spogliato. Tutta la bellezza che sei tu con me, del tuo modo di farmi sentire donna ma anche un po’ bambina, come sono io, senza farmelo pesare mai. Di tutte le volte che ti chiamo amore e te lo direi mille volte perché non mi basta, delle volte che ti vedo andar via e già ricomincio a sognare di stringerti ancora.

 

  • La mia metà

A volte, quando mi vedi persa, mi domandi a cosa stia pensando e molto spesso in risposta scuoto semplicemente la testa. Come sarebbe difficile raccontarti il filo dei miei pensieri quando sono accanto a te, avvolta nel tuo calore e nel tuo profumo.
Tra noi due tu sei innegabilmente la razionalità e io, altrettanto innegabilmente, il sogno. Tu segui progetti, percorsi, tu pianifichi e completi programmi, aggirando ostacoli e risolvendo problemi in modo efficace e ordinato. Io invece mi perdo sempre, faccio lunghi giri per arrivare alla meta, mi lascio spaventare dagli imprevisti, mi siedo su un muretto per ammirare il cielo limpido e senza dubbio sono molto meno efficiente di te…
Tu sei la mia realtà e il mio sogno. Sei l’eroe dei miei romanzi – quelli dei quali tu non leggeresti più di tre righe -, sei l’amore sospirato e atteso dei miei libri di poesie. Sei il mio Ulisse dai mille inganni, sei il mio Elric di Melniboné, sei il principe dei romanzetti di Delly che la nonna mi regalava da ragazzina… Per questo a volte accanto a te mi perdo, come mi accade sempre nei miei libri. E tu non immagini, amore mio, quale meraviglioso racconto sia tu per me…

 

  • Il primo amore…”diverso”

Aveva il collo lungo quasi come le donne dei dipinti di Modigliani. Sottile nonostante la sua corporatura abbondante, dalla carne soda dei nostri vent’anni e dalla pelle delicatamente ambrata. E il suo profumo, oddio il suo profumo… delicato, mi ricordava quello dell’acqua di colonia al thè verde, che da allora è rimasta una delle mie preferite. Aveva capelli castani lunghi, lucidi e mossi ed occhi color nocciola. Quante volte ho sognato, soprattutto nelle sere d’estate che passavamo assieme a tutta la comitiva, di riempire quel collo di baci fino a farla sciogliere e sentirla gemere, per poi assaporare tutto il suo morbido, invitante corpo… Ma era la mia migliore amica, era strettamente etero e io, vittima di un’educazione rigidamente cattolica, ancora non comprendevo completamente quelle sensazioni così strane che lo stare vicino ad una donna non avrebbe dovuto mai procurarmi, secondo ciò che mi avevano sempre insegnato…

 

  • L’uomo più forte del mondo

Ricordo quando ero piccola. Lui era la mia certezza. L’uomo più forte del mondo, l’uomo più grande del mondo. Ancora oggi a quarandue anni saprei ricostruire fin nei dettagli più piccoli la forma delle sue mani. Ogni segno, ogni piega. Quelle mani dentro le quali guardavo le mie, così piccole, sparire e ridevo, felice e meravigliata di tanta differenza. Il mio eroe. Che mi portava in spalla, mi raccontava dei misteri degli etruschi e dei tombaroli ai quali a volte si accompagnava da ragazzo, che mi faceva disegnare a china aiutandomi a tenere il pennino senza fare disastri. Ancora ricordo il pennino arancione della Pelikan a cui si cambiava la punta e tutte le boccette di china colorata, ognuna con un tappino di colore diverso. E io in braccio a lui. E quelle domeniche alle giostre, dove vinceva per me tutti i giocattoli di plastica con quei bracci meccanici, nessuno era più bravo di lui. Ma poi. L’eroe all’improvviso diventava mostro e io mi sentivo morire dalla paura. Avevo paura anche di respirare, perché sapevo che se avessi attirato la sua attenzione avrebbe fatto male. Perché quelle mani così grandi facevano male. Quelle mani così forti spezzavano le ossa alla mamma, mentre lei gridava “Dai, ammazzami, ammazzami!” e io che avevo paura che lo facesse davvero alla fine mi mettevo in mezzo. “Dai papà ti prego smettila, papà ti prego, ti prego…”. Perché io dovevo difenderla, non potevo permettergli di ucciderla davvero. Forse era colpa mia, perché non andavo abbastanza bene a scuola. In fondo, matematica non la capivo mai, la maestra mi sgridava sempre perché proprio non riuscivo. Sì, doveva essere così. O forse perché non ero carina come tutte le altre bambine, con i loro vestitini…io ero un maschiaccio. Mi arrampicavo sugli alberi, giocavo a pallone e facevo a botte con i maschi. O forse perché non ero nata maschio, come sarebbe piaciuto a lui. Intanto il tempo passava e arrivata ai dieci anni, non so perché, per lui sparii completamente. Già prima sapeva poco di me, poi fu come non esistere più, tranne quando si incazzava. Lei da sempre votata anima e corpo al suo lavoro, lui sempre più perso dentro se stesso e dietro ai suoi spettri. Io sempre più trasparente. Io che volevo solo sparire e che tenevo dentro l’armadio uno zainetto con qualche risparmio, un po’ di vestiti e un libro. Nel caso in cui una sera finisse davvero con l’ammazzarla e fosse necessario sparire in fretta per non fare la stessa fine. Ma lei me lo diceva sempre, sei uguale a tuo padre, ricordati che nessuno al mondo ti ama più dei tuoi genitori. Il mio dogma: “Nessuno al mondo ti ama più dei tuoi genitori”. Però che strana cosa il vero amore. Pieno di lividi, di cambi improvvisi e inspiegabili d’umore, di fughe nel cuore della notte. Davvero questo amore ti abbandona così, all’improvviso? Davvero devi essere pronto a difenderti da un momento all’altro? Davvero è come camminare su un pavimento di tavole sconnesse, che non sai mai quando cederà? Eppure nei libri lo raccontavano in modo tanto diverso…
Sono passati tanti anni e tante persone hanno attraversato la mia vita. Ognuno a modo proprio mi ha aiutato a capire, con buoni o cattivi esempi. No, quello non è il vero amore. È un rapporto profondamente disfunzionale tra due individui pieni di traumi dei quali continuano a rimanere vittime, ancora e ancora. Quello che so è che io tutto quel dolore non lo voglio più. So che rimarrà lì, annidato in un angolo, come Gmork della Storia Infinita. Non posso impedirgli di esistere, ma posso fare in modo di non fargli divorare tutto il futuro. Ogni tanto si farà sentire ancora, ogni tanto tornerà a mordere, ma è possibile rispedirlo a cuccia, ridurlo soltanto a un cupo brontolio, ad un rumore di fondo, a un’entità trascurabile. Perché io ho voglia di vivere.

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