Non sono comunista

Non sono comunista

Ma ne sento la mancanza

Mio padre Carlo, cattolico praticante, persona intelligente e riflessiva, insieme a mio zio Oberdan, invece, comunista, persona generosa e appassionata, innescavano discussioni politiche, anche con toni accesi, che non finivano mai.

Me li ricordo entrambi con tanto amore, per la passione e la foga delle loro idee, pur con grande rispetto e bene reciproco.

Personalmente ho sempre avuto qualche curiosità per quel mondo di cui raccontava mio zio, dove tutti erano uguali, tutti avevano stessi diritti e tutti un lavoro dignitoso, non esistevano padroni o dipendenti, era tutto dello Stato. Mio padre semplicemente non condivideva questa visione di cui ne criticava fortemente la deriva autoritaria.

La mia confusione si è ben presto chiarita quando i carri armati russi entrarono nell’allora Cecoslovacchia, in seguito a quella che fu definita la “primavera di Praga”.

Le immagini di Ian Palack giovane studente, immolatosi come torcia umana, per difendere la libertà, fecero il giro del mondo, rimasero indelebili nella mia mente, quella di un giovane ragazzo che stava formando la sua visione del mondo. Questi fatti mi fecero orientare sempre più per le posizioni di mio padre. Le dittature di qualsiasi colore siano, mi hanno sempre dato la sensazione di soffocamento e non ho più cambiato idea da allora.

La storia, però, ha sempre un’altra faccia e si presenta con la legge del contrappasso, difatti, mio padre, da li a poco fu ingiustamente discriminato, nel suo ambiente di lavoro e rischiò peraltro il licenziamento, scongiurato solo dalla sostituzione del dirigente vessatore. Rimase altrettanto indelebile, ai miei occhi di  ragazzino, vedere il proprio padre piangere per una ingiustizia così grande che stava subendo senza diritti né garanzie, da parte di una persona che ne teneva in pugno il futuro, suo e della propria famiglia. Aveva ragione anche mio zio, quando parlava di padroni sfruttatori e proletari sfruttati? Sta di fatto che quella fu una stagione di grandi confronti politici ed ideologici , cambiamenti sociali e lotte sindacali, in cui i diritti dei lavoratori, anche grazie ai sindacati e al partito comunista, affermarono la loro identità e dignità di lavoratori, il diritto di essere riconosciuti. Queste istanze sociali, in seguito, sfociarono nello statuto dei lavoratori del 1970. “Formidabili quegli anni” – così li definì Mario Capanna – nel suo libro che ricordava quell’avvincente periodo storico, da studente della Cattolica di Milano fa cui fu peraltro espulso. Periodo  denso di luci ed ombre  che comunque determinarono un innegabile passo avanti della società italiana. Balzo non completamente riuscito, in quanto i diritti espressi nella Costituzione sono ancora lungi dall’ essere realizzati, anzi la nostra carta costituzionale è sempre più sotto attacco.

Neoliberismo e autocrazie  

Quelle dittature, fasciste in Sudamerica o  di estrazione marxista nel blocco dell’Est, per motivi storici politici ed economici, hanno avuto il loro declino a cavallo degli anni 80. Le prime erano sostenute dall’imperialismo americano che attraverso esse consolidava il suo dominio su quei territori, le seconde – invece-  consolidavano il potere comunista del blocco socialista, ma entrambe assumevano la forma di dittatura, poco importa se c‘era Pinochet, Noriega o  Krusciov o Mao Tse-tung le uniche alternative –alle ditature – erano le democrazie occidentali. Queste, anche per effetto delle lotte dei diritti del 68, sono state lo stimolo di un mondo che aspirava alla giustizia, al lavoro, ma anche alla solidarietà e alla fratellanza. La caduta del muro di Berlino, rappresentò una ulteriore spinta verso quella libertà: il muro che crollava auspicava la realizzazione delle utopie. La creatività al potere, un mondo senza guerre ne dittature, libertà di movimento nel mondo a disposizione dell’individuo che poteva liberare la propria immaginazione ed immaginarsi, anche fisicamente, ovunque nel mondo. Poter andare in giro con un bus (inglese) a due piani, condividere quel loft in movimento con altri viaggiatori da Londra al Nepal, i mitici Hippie Trail, in una esperienza fisica e trascendentale, nel formare legami di reciproco sostegno e comunità, contro il materialismo e guarda caso, contro le dittature comuniste, una leggendaria avventura lunga sei mesi.

Purtroppo l’umano troppo umano che si cela dentro ogni individuo, ha  determinato un agire individualistico e troppo poco collettivo, figlio dell’etica protestante che ha praticamente estinto quei legami. Sulla scia dell’edonismo Reaganiano degli anni 80, si è concretizzata la grande ideologia dei Chicago boys, “Il Neoliberismo” che prometteva libertà e accesso ai mercati, benessere e consumo per tutti, ovvero la globalizzazione a portata di un click degli anni 2000.

Sartre ci aveva avvisato: «l’ideologia è libertà mentre si fa e oppressione quando si è costituita”. Una pietra di inciampo su cui aprire la riflessione, il neoliberismo è diventato uno strumento di oppressione e costruzione di grandi disuguaglianze sociali, mai come in questo momento siamo di fronte a grandi disuguaglianze che stanno scaturendo in conflitti, che hanno la sua centralità nella relazione tra potere e libertà, dominio e oppressione.

In ogni città si trovano questi due umori diversi; e nasce da questo che il popolo desidera non essere comandato né oppresso dai grandi mentre i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo” – così si esprimeva Machiavelli nel ‘400 – sintetizzando il conflitto tra i grandi e il popolo che precede la formazione dei diversi regimi politici ed è costitutivo dello spazio sociale, che verrà dato, a seconda del risultato di questo conflitto. Si costituisce – pertanto – a livello epistemologico, una interpretazione di questa profonda asimmetria che esprime il desiderio dei grandi “dell’avere”. Mentre quello “dell’essere”, è il desiderio popolare che si declina anzitutto in un “non essere oppressi”, in altri termini come desiderio di “libertà”, conflitto – quindi – che assume un carattere prettamente politico. Le forme politiche che abbiamo conosciuto hanno espresso proprio questa contrapposizione, confluendo da un lato nel capitalismo, rappresentato dalla sua forma più estrema del neoliberismo dei grandi e dall’altro il marxismo, purtroppo esitato nelle dittature comuniste del popolo che, invece, nelle forme delle social democrazie europee ne costituivano un balancer.

Dalle ideologie alla economia del desiderio

Si rende necessario quindi, smascherare questo ordine costituito che nasce e si determina proprio tra chi vuole opprimere e chi non vuole essere oppresso e si traduce in una economia del desiderio, appetiti di ricchezza e potere infiniti. Quindi “avere” da un lato e il popolo che desidera essere libero dall’altro.

Le democrazie e le costituzioni sono nate per rispondere con forme sociali adeguate a questa contrapposizione. La costruzione statuale e giuridica, indicata da Hobbes nel Leviatano, immagina l’uomo che passa dalla condizione di homo homini lupus per divenire homo homini homo. Il Leviatano ingabbia  Behemonth , le due creature della mitologia ebraica, per trasformarle in idee mito-politiche. Leviathan  incarna nello stato, Behemonth  assume le sembianze politiche della rivoluzione che nella loro polarità rimandano a categorie trascendenti: “pace vs violenza”, “forma vs movimento”, “ordine vs caos”.

La storia, però ci ha consegnato dalla caduta del muro di Berlino, la prevalenza della ideologia del neoliberismo che ha trasformato tutte le attività umane in economicamente profittevoli, prosciugando nel contempo in maniera sostanziale il concetto di democrazia e servizi ai cittadini. I diritti alla sanità o alle pensioni, vengono sempre più delegate all’azione degli investitori che traggono profitto dai servizi che lo Stato, invece, dovrebbe fornire ai cittadini, con il mantra che il privato è più efficiente, ma in effetti la sua efficienza è data da contratti e condizioni a ribasso, che sono possibili sulla pelle dei lavoratori. In realtà molti di essi, pur lavorando, hanno uno stipendio talmente basso che li relega nella categoria dei poveri.

Persone che pur lavorando, vivono prossimi alla soglia della povertà, mentre i loro datori di lavoro fanno sempre più profitto e si lamentano.

Grazie al reddito di cittadinanza, qualcuno ha capito finalmente la differenza tra uno stipendio vero e uno finto. Se si deve lavorare per uno stipendio finto, da 4 euro l’ora, per vivere come un povero, allora meglio essere poveri ma con il reddito di cittadinanza.

Dalla altra parte, dove esistevano le dittature comuniste, si sono consolidate le autocrazie cioè quelle forme di governo di pochi che controllano cittadini, risorse,  materie prime e ne traggono profitto in una forma sociale, in cui il voto è un proforma e la classe dirigente ed imprenditoriale fa riferimento al carisma del Presidente che ridistribuisce potere e ricchezza. Queste forme di autocrazie, fanno affari con l’ altro mondo, quello del neoliberismo, funzionali entrambi allo status quo, da una parte le autocrazie che hanno il monopolio sulle materie prime, dall’altra la dittatura finanziaria del neoliberismo che dispone e decide sulla vita dei cittadini. Nel bel mezzo, i cittadini si trovano  oppressi in qualsiasi latitudine del mondo, in una asimmetria di relazione che ricorda oscuri periodi della storia, quella fatta di caos, disordine e sopraffazione, dettate dalle logiche animate sempre dalla relazione tra potere/libertà, dominio/oppressione. In sintesi stiamo tornando alla condizione precedente, per intenderci, di una classe dirigente o èlite che ha ripreso la condizione di homo homini lupus, rapace nei confronti dei propri cittadini.

 Torniamo ad oggi

Al festival di San Remo appena concluso, il “leit motive” è stata la parola “libertà”, declinata in tutte le salse. Il partito che sta ancora  “as..PD..pettando Godot”, si è affretta come sempre a cavalcare questa parola, sbandierandola attraverso tutti i suoi accoliti, ma come è possibile recriminare la libertà, cavalcare le lotte partigiane, organizzare  le feste dell’ Unità, quando si è contribuito a costituire un sistema politico che ha smantellato i diritti dei lavoratori, es. l’art. 18, il precariato sempre più diffuso e ha permesso che tutto il sistema paese italiano fosse asservito ai voleri della finanza internazionale, sono proprio loro quei personaggi che hanno aperto colpevolmente le porte al neoliberismo e alla logica dello spread. Basti osservare quello che è successo con la crisi energetica, dove la compagnia  che una volta era pubblica, ha fatto utili da record, elargendo lauti dividendi ai suoi azionisti (tra cui il fondo Black Rock) mentre i cittadini e le imprese pagavano bollette stratosferiche al punto che, alcune aziende hanno dovuto fermare l’attività produttiva e nessuno ha fatto niente se non indignarsi a “parole”, perché le misure adottate ricadono sul deficit pubblico e non sui conti delle aziende energetiche e dei loro utili a dir poco scandalosi.

I signori del partito che as..PD..petta Godot , si lamentano perché alle ultime elezioni l’affluenza e calata al 40%, avendo anche la presunzione di rappresentare i restanti, cioè quelli che non sono andati, invocando la crisi di democrazia che essi stessi hanno contribuito a determinare. La libertà dei cittadini, appesa alla volontà di “avere” dei grandi, per dirla alla Machiavelli, senza un sistema che compensi queste asimmetrie e squilibri di potere.

Il problema è quindi della  politica che dovrebbe provvedere. L’attualità invece ci restituisce, una destra  che gioca abilmente su due fronti, quello del neoliberismo internazionale, per assicurarsi la stabilità di governo e  dalla altra strizza l’occhio all’asse Trump, Putin, con le esternazione geriatriche di uno dei suoi fondatori, perché la loro natura “resta comunque fascistoide”, ovvero al servizio dei grandi e non dei cittadini. Il partito che aspetta Godot, invece non riesce a prendere posizione contro il neoliberismo, perché oramai da Andreatta, Prodi passando per Monti, Renzi e Letta , fino a Draghi (il dominus della svendita/privatizzazioni del sistema industriale pubblico degli anni 80), ne ha fatto la sua dottrina economica, che si manifesta nelle   decisioni della Bce che si occupa di alzare il tasso del denaro, ma non si preoccupa della vita reale dei cittadini europei, del resto i banchieri fanno i banchieri, gli altri, i teatranti di un copione già scritto, cambiare tutto per non cambiare niente, fanno finta di aspettare Godot, ma sperano che non arrivi mai, difatti stanno facendo una ridicola ammuina da sei mesi. E’ per questo che: “non sono comunista, ma ne sento la  mancanza”.

di Marco Ricciotti

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