Agricoltura alle corde

Agricoltura alle corde

Legalizzazione e Caporalato

Poco più del fatturato agricolo dell’Unione Europea proviene da Francia, Germania, Italia e Spagna, confermando il nostro Paese come la terza potenza agricola europea. Con poco più di 12 milioni di ettari di superficie utilizzata, l’agricoltura italiana realizza il 12% del fatturato del settore nell’UE.

Il valore dell’Agricolura Italiana
L’agricoltura italiana e tutto il complesso delle attivita  che le ruota attorno continua a occupare un posto centrale nell’economia del Paese, sia in termini di produzione che in termini di servizi e funzioni che risultano fondamentali per l’intera collettivita : il presidio del territorio, la mitigazione degli effetti sul cambiamento climatico, il contributo alla sostenibilità e alla bioeconomia, la produzione di risorse rinnovabili, i servizi sociali. In questo quadro, è importante notare come, nonostante il lieve calo del valore della produzione agricola italiana nel 2019 (-0,6%), l’Italia si confermi al primo posto in Europa per il valore della produzione delle attività agricole connesse (trasformazione, vendita diretta, agriturismo eccetera). Il Paese detiene il primato anche per quanto riguarda il lavoro in agricoltura, per numero di occupati nel settore primario, con un milione e 125mila lavoratori, seguita da Spagna e Francia; così come resta pressochéé stabile l’impiego di manodopera, con una variazione del – 0,1%. È quanto emerge da un’analisi di Confagricoltura in relazione alle stime Istat sull’andamento economico–produttivo dell’agricoltura nel 2019.

Le brutte notizie e la forza degli agricoltori
Sempre dai dati Istat, nel 2019 risulta che il comparto vitivinicolo ha segnato un importante calo dei volumi di produzione (-12 per cento) e dei prezzi di mercato (-6 per cento) e un -17,2 per cento del valore complessivo del comparto. In calo anche la frutta con -3 per cento dei volumi, -5 per cento dei prezzi e -8 per cento del valore. A determinare questo andamento negativo avrebbero influito diversi fattori, non ultimi i mutamenti climatici e le emergenze fitosanitarie. In questo contesto, si incastona la crisi da coronavirus e il lockdown che ha paralizzato il Paese per oltre due mesi. Nella guerra al covid-19, c’è stato un fronte silenzioso che ha lavorato incessantemente. È quello di chi ogni giorno opera per garantire rifornimenti di cibo fresco a supermercati e negozi di alimentari. Forse non un ruolo da prima pagina, ma che contribuisce in maniera fondamentale a benessere e quiete pubblica in un periodo di estrema fragilità. Da Nord a Sud del Lazio, ad esempio, il comparto agricolo non si è tirato indietro di fronte all’emergenza, adattandosi alle sempre più difficili condizioni operative: «In questi mesi di lockdown abbiamo lavorato incessantemente, sette giorni su sette – dichiara Andrea Petrillo, che gestisce con il padre e il fratello l’azienda agricola di famiglia, Ortocireco – per ragioni di sicurezza molti dipendenti non potevano venire a lavoro, anche a causa della difficile situazione a Fondi –zona rossa, ndr – ed è toccato a noi svolgere il lavoro. È stato difficile, ma non ci siamo mai fermati. Il recente decreto mi fa sorridere, sinceramente, certo ci sono delle situazioni critiche di sfruttamento di manodopera ed è sacrosanto intervenire, ma probabilmente si dovrebbe agire con altri mezzi, altri canali. Qui nell’Agropontino la maggior parte degli operai agricoli è di origine sikh, sono gran lavoratori, qualificati, che partono dal loro paese con un preciso obiettivo, venire in Italia, lavorare la terra e stabilirsi. Hanno portato le loro famiglie, creando delle comunità integrate. Hanno dei contratti regolari, la maggior parte di essi entra in Italia regolarmente, la loro è una immigrazione controllata. Ci sono stati dei casi di sfruttamento in queste zone, denunciati da Marco Omizzolo – giornalista infiltrato nelle comunità sikh dell’Agropontino che ha portato alla luce degli episodi di sfruttamento e traffici umani, ndr – ma si tratta di episodi di criminalità organizzata, gravissimi, certo, ma la maggior parte degli agricoltori della zona sono persone oneste che conducono il loro lavoro alla luce del sole. E non potrebbe essere altrimenti, regolarmente riceviamo dei controlli e tutto deve essere in regola, ci mancherebbe. Per combattere il capolarato servono controlli capillari e pene certe, non una regolariz-zazione massiccia di persone che non si sa nemmeno se vogliono venirci davvero a lavorare nei campi».

Il mezzo flop
Tra le misure più dibattute del Decreto Rilancio, varato lo scorso maggio, la regolarizza-zione dei braccianti extracomunitari è stata per il ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova una battaglia personale, che però, alla luce delle reazioni del mondo agricolo, rischia di rivelarsi una vittoria dimezzata. L’edizione 2020 della regolarizzazione apre le porte solo a due categorie: braccianti agricoli e lavoratori domestici. I datori o i lavoratori interessati all’emersione possono infatti fare domanda dal 1° giugno al 15 luglio (articolo 103 del Dl 34/2020). Il Governo stima 220mila adesioni alla procedura, in base alle do-mande arrivate per le ultime sanatorie del 2009 e del 2012. ma centrare i numeri effettivi è difficile. Sia perché nei due comparti interessati dalla regolarizzazione la platea potenziale comprende fino a 1,1 milioni di lavoratori “fuori legge” italiani, cittadini Ue ed extracomunitari, mappati dall’Istat sia perché, per questi ultimi, solo in alcuni casi l’irregolarità di lavoro si sovrappone all’irregolarità nel soggiorno in Italia. La sanatoria – valida per due macrosettori: agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura; assistenza alla persona e lavoro domestico – prevede un doppio binario: da un lato i datori di lavoro possono assumere un cittadino straniero presente sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo 2020 o dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare – in corso – con cittadini italiani o stranieri. Per chi ha già un valido permesso di soggiorno, questa procedura implica solo la regolarizzazione lavorativa. Per chi non ha il permesso di soggiorno valido, l’assunzione e la regolarizzazione lavorativa consentiranno di accedere – alla conclusione dell’iter – al permesso di soggiorno. Il secondo canale di regolarizzazione può essere attivato direttamente dal cittadino straniero, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. Il cittadino straniero può presentare domanda per ottenere un permesso temporaneo per la ricerca di lavoro della durata di sei mesi, valido solo in Italia. Questo permesso è convertibile in un permesso di lavoro, se il cittadino straniero viene assunto durante i sei mesi di validità del permesso e dimostra lo svolgimento di una attività lavorativa nei settori interessati dalla norma (agricoltura, assistenza alla persona e lavoro domestico). Nella realtà, quello che nelle intenzioni del governo giallorosso doveva essere un colpo schiacciante al capolarato e al lavoro nero si sta rivelando l’ennesimo fiasco: secondo i primi dati ufficiali diffusi dal Viminale, al 15 giugno le domande di sanatoria presentate sono complessivamente 32mila – contro una richiesta di oltre 300mila persone da impiegare nei campi. Di queste, come si legge direttamente dal sito del Viminale, 23.950 già perfezionate e 7.762 in corso di lavorazione. Inoltre, gran parte delle domande non riguardano il settore agricolo, che pure alla vigilia era stato quello sulla carta maggiormente interessato dalla sanatoria: il lavoro domestico e di assistenza alla persona rappresenta il 91% delle domande già perfezionate. Su 23.950 datori di lavoro che hanno perfezionato la domanda di regolarizzazione 17.294 sono italiani, il 72% del totale. Un decreto legge annunciato tra lacrime di commozione ma che adesso fa sudare a causa delle difficoltà che sta incontrando per via dei pareri contrastanti emersi anche all’interno della stessa maggioranza. Soprattutto in un momento difficile come questo, con la crisi occupazionale che due mesi di lockdown hanno generato, camerieri, studenti, partite iva, commessi, giovani laureati o semplicemente disoccupati, sempre più italiani si vedono costretti a reinventarsi come braccianti. Un’adunata inaspettata che ha costretto le stesse organizzazioni a creare piattaforme per fare incontrare domande e offerte. Dal 7 aprile, in poco più di un mese sulla piattaforma Agrijob di Confagricoltura sono arrivate 17 mila domande – 12 mila circa di italiani. Il 18 aprile anche Coldiretti ha lanciato Jobincountry, a cui si sono iscritti in 10mila circa – di questi, quasi 9 mila italiani. Il 24 aprile è stato il turno di Lavora con agricoltori italiani: in due settimane 2.500 iscritti, italiani: circa 2mila. Una tendenza che mostra bene come un lavoro regolare, inquadrato da un contratto collettivo, con una paga a norma di legge – lo stipendio medio di un operaio agricolo si aggira intorno ai 1250 euro netti mensili, circa 10,50 euro lordi all’ora – faccia gola a molti, stranieri e non. «Quando si parla di agricoltura – continua Andrea Petrillo – ciò a cui si guarda è solo ed esclusivamente il problema occupazionale. In realtà non c’è una politica agricola a sostegno delle imprese agricole italiane che si debbono arrangiare. Se si guardasse e si intervenisse su altre problematiche come ad esempio il calo dei prezzi, le caratteristiche stesse dell’agricoltura italiana e dell’Agropontino in particolare, passato dal frazionamento estremo alla concentrazione estrema di proprietà, confluite in grandi cooperative, per non parlare della lotta alle criminalità organizzate di varia natura, allora le cose migliorerebbero per tutti, aziende e lavoratori». «Siamo una piccola azienda agricola e siamo fermi, paradossalmente stiamo più fermi adesso di quando c’era il lockdown – lamenta Luigi Di Vito, titolare dell’azienda agricola L’Ortolano, a Fondi – produciamo spezie e fiori per la ristorazione, da quando è esplosa l’emergenza sanitaria ovviamente non lavoriamo più. Il decreto varato a maggio va alle aziende più grandi, a quelle piccole condotte a livello familiare non va nulla». Si tratta di sfide da affrontare quanto prima con politiche adeguate e in linea con una vi-sione moderna del settore, il rischio è quello di perdere quei primati che il sistema agricolo nazionale ancora può vantare ma che, come è evidente dall’andamento negativo del settore, sono pericolosamente messi a rischio.

di Michela Di Gaspare

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