
Incel: l’odio verso le donne che diventa identità
«Il mondo va avanti, le persone si innamorano, si sposano. Io resto qui, invisibile». Così scrive un utente anonimo in un forum. Sentimenti di solitudine, impotenza, vuoto. Un vuoto che, online, diventa linguaggio, ideologia, odio. Nel silenzio delle chat chiuse e dei forum anonimi, dietro avatar senza volto e meme distorti, prende forma l’universo incel – acronimo di involuntary celibates, celibi involontari – abitato da uomini che si dichiarano incapaci di avere relazioni affettive o sessuali, e che attribuiscono questa condizione esclusivamente alle donne.
«Preferiscono solo i Chad», «se non sei alto 1.80, sei finito», «sono tutte uguali»: frasi che si ripetono come mantra in queste comunità, dove la frustrazione personale viene elevata a verità collettiva. La comunicazione è infarcita di gergo – Stacy, Roastie, ER – e teorie tossiche come la redpill, la blackpill o la LMS theory, che dipingono il mondo come una gabbia dove solo i belli e i vincenti meritano amore e rispetto. Un mondo che, negli ultimi anni, ha smesso di esistere solo nei threads e nei canali social per irrompere infine nella realtà. E quando l’odio trova una causa e un’identità in cui riconoscersi, può trasformarsi in violenza fatale.
Le origini del mondo incel e della “manosfera”
A coniare il termine incel fu una ragazza canadese, conosciuta con lo pseudonimo di Alana, che negli anni ’90 creò un blog dal titolo Alana’s Involuntary Celibacy Project. L’obiettivo era semplice: dare supporto a «chi si sentiva solo, non aveva mai avuto rapporti sessuali o non aveva avuto una relazione sentimentale da molto tempo». Il sito era aperto a tutti, uomini e donne (celibe in inglese non ha connotazione di genere), e il termine “celibato involontario” (involuntary celibacy) non aveva……..
di Vanessa Fieschi
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