Valentina e la ricerca della felicità

Valentina e la ricerca della felicità

L’emarginazione non è solo quella delle centinaia di barboni sparsi nelle vie maleodoranti della nostra città, è quella dei migranti illusi dalla prospettiva di una vita migliore e traditi dai commercianti di schiavi, stranieri e italiani, che li hanno fatti arrivare e continuano ad attirarli con false promesse di benessere e aiuti, più per il proprio tornaconto che per il bene dei poveracci, arrivati in una nazione che non ha nulla da offrirgli, se non a sacrifici che non tutti riescono a sostenere, per avere una vita appena al di sopra della soglia di povertà.
L’emarginazione più grande però è la nostra, quella dei cittadini italiani che hanno perso i loro sogni, sostituiti da rinunce, pensieri stereotipati e da beni voluttuari.

La ricerca della felicità

Il compito di uno Stato serio è quello di assicurare, ai propri cittadini, la rimozione di tutti quegli ostacoli che si frappongono al raggiungimento delle giuste istanze di autorealizzazione dei singoli. I cittadini hanno – infatti – il diritto e ancor di più il dovere, di ricercare la felicità attraverso la realizzazione personale. Sono 40 anni che in Italia abbiamo smesso di credere e di combattere per quello che riteniamo giusto e auspicabile. Non abbiamo più grandi ideali, non abbiamo più grandi sogni e a guardare bene, non abbiamo più niente. Abbiamo sacrifici, abbiamo rinunce, abbiamo tasse, abbiamo divieti e un telefonino nelle nostre mani, poi non abbiamo più niente.

Il dissenso

Abbiamo perso il diritto di dissentire, è vero ci sono dei dissensi che non meritano la nostra attenzione, come quelli dei no-vax, ma questi hanno comunque il diritto di esprimere una loro opinione, senza per questo essere perseguiti. È chiaro che un’opinione illogica, ignorante e francamente controproducente, non può essere messo sullo stesso piano di quella scientifica ma ciò che sta succedendo è un processo perverso: mettiamo mediaticamente tutto sullo stesso piano e poi perseguiamo quella che non è funzionale, di solito al potere politico e al pensiero dominante. Solo in questa visione possiamo capire perché sui social vengono condivise le frasi dei cantanti o dei personaggi di Gomorra mentre quelle di Evola o Gramsci ottengono il minimo dei like.
Non si sospende un funzionario dello Stato o un docente perché dichiara una castroneria scientifica, lo si rimanda a studiare fino a che non avrà capito la portata della sua imbecillità. Mandiamo in comunità i tossici, senza per questo licenziarli ed una volta “guariti” li re-inseriamo nei luoghi di lavoro (comprese le forze dell’ordine) però non lo facciamo con chi dissente.
Ormai la libertà di opinione prevista dalla Costituzione e dalla dichiarazione dei diritti umani vale solo se si è amici del potere. Il pensiero unico non è più solo un’idea complottista.

Chi invece trova “l’America”

I politici sono gli tra quei pochi che hanno ancora sogni, questi sogni sono espressi in migliaia di euro, quelli che gli sono dovuti a titolo di diaria per la loro presenza nelle stanze che contano. Loro possono ancora sognare, sono incapaci (la stragrande maggioranza di loro) di un qualche ragionamento logico ed onesto, restii a prendere una decisione che vada contro i loro interessi. Per eleggere il capo dello Stato si è deciso – infatti – di non decidere e di tenere il “vecchio”, recalcitrante e buon Sergio Mattarella, esclusivamente per non andare ad effettuare una scelta che sarebbe stata contrastante con gli interessi dei singoli e dei partiti e che avrebbe portato gli italiani ad esprimere un’opinione, cioè a votare.

La vera povertà sociale

Ovviamente questa politica è figlia di questa società che esprime l’odio attraverso i social, un odio cieco, ignorante, incurante della realtà. Tifosi da stadio, senza un valore comune, senza la minima capacità di esprimere un pensiero compiuto ma con la possibilità di votare. Bene inteso, gli ignoranti ci sono sempre stati ma una volta erano rappresentati dai loro leader e questi mostravano loro la “via”, all’interno di un pensiero di massima che era assolutamente sensato. Si faceva battaglia politica a suon di “massimi sistemi”, di concezioni diverse della vita e dell’economia, perché, seppur la crocetta non veniva messa solo da laureati, anche chi aveva raggiunto a stento le medie era motivato da un pensiero, da una chiara visione del mondo. Ora – al contrario – le persone sono motivate dalle fake news fatte di demagogia ed ignoranza, che viaggiano sui social.
Negli anni 70 del secolo scorso l’operaio votava Partito Comunista Italiano e sapeva perfettamente che, proprio in quel momento, il segretario di quel grande partito stava pensando a lui e ai suoi problemi alla catena di montaggio. Negli stessi anni il segretario del Movimento Sociale Italiano parlava del valore della libertà e seppur aspramente contrapposto al “rosso” mai si sarebbe sognato di non far ricorso alle idee ma alle bugie per un mucchio di voti in più. Attualmente abbiamo politici che postano gattini sui loro profili Facebook, altri che scoprono episodi di razzismo 15 giorni prima delle elezioni, episodi che si rivelano essere montati ad arte, 15 giorni dopo le elezioni.
Ci siamo impoveriti culturalmente, abbiamo titoli di studio superiori ma siamo più analfabeti di prima.

Non esiste felicità senza progresso

Le crocette apposte, con la matita indelebile sulle schede elettorali, stanno permettendo ad una classe di cittadini-politici, fatta a immagine e somiglianza della società, di svilire il senso del progresso e della felicità. Qualcuno ha anche creduto nello slogan della “decrescita felice” che mi piacerebbe paragonare al “piacere della sconfitta”. Non c’è felicità senza crescita, che sia personale, sociale o economica, siamo portati allo sviluppo e non al ritorno di un passato più povero.
Bisogna essere chiari a questo proposito, la felicità degli anni ‘60 così ben descritta dal comico romano Maurizio Battista, fatta di gite al mare, di pranzi luculliani e di cose semplici, rappresentava un enorme progresso rispetto agli stenti della Seconda Guerra Mondiale o al sacrificio dei nonni protagonisti della vita nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Quei tempi erano felici perché erano tempi di progresso e di speranza, perché finalmente il figlio dell’ analfabeta poteva prendersi un diploma che gli avrebbe assicurato un futuro migliore, rispetto a quello dei suoi genitori.
Adesso, proprio in questo momento, guardate i vostri figli, vi renderete conto che le possibilità che avete avuto voi, loro non le avranno neanche lontanamente.
Hanno il diritto invece di ricercare la loro felicità, il nostro dovere invece è fare in modo che abbiano questa possibilità.

Valentina e la felicità

Valentina era una “barbona” che stazionava nei pressi della stazione Termini di Roma, morta qualche settimana fa, a cui, poco prima di Natale, avevo regalato un paio di guanti da sci usati. Poca cosa davvero (il gesto non fa di me una persona migliore) ma ho pensato che le potessero servire per proteggersi dalle rigide temperature notturne. Valentina proveniva dall’Est Europa, non avrebbe dovuto morire ma quello è affare del Padreterno o del destino (come preferite) e non possiamo farci nulla. In compenso e questo è affar nostro, non avrebbe dovuto essere così povera da lasciare il suo paese per venire in Italia e soprattutto non avremmo dovuto lasciarla vivere al gelo. Valentina così come ogni essere umano avrebbe meritato una casa calda. Avrebbe meritato la felicità.

Leandro Abeille

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