Sesso e disabilità

Un bisogno indispensabile

La piramide di Maslow identifica i 5 bisogni fondamentali di ogni essere umano e tra quelli fisici essenziali, necessari cioè alla sopravvivenza, c’è anche il bisogno sessuale.
Limiti fisici, sensoriali e cognitivi non variano, né compromettono il diritto alla sessualità di una persona, proprio perché tale in qualsiasi condizione sia. Sono infatti più spesso i pregiudizi a generare incredulità verso il desiderio sessuale di una persona con disabilità ed è proprio a causa di questi pregiudizi che si influenza la vita di queste persone e l’approccio alla sessualità, senza considerare che la disabilità, in particolare quella fisica, può essere frutto di un trauma o di una patologia.

Comprendere il sesso

La prima considerazione da fare è la sostanziale differenza tra deficit cognitivi e deficit fisici che comunque implicano un’area cognitiva nella norma. La seconda tra le considerazioni da fare è che non esiste un concetto universale di sessualità e soprattutto di come vada vissuta. E’ l’educazione alla sessualità della persona con disabilità che riveste un ruolo importantissimo perché può consentirgli di trovare la giusta espressione per la propria sessualità, visto che definire il sesso unicamente come un’attività coitale seguita dall’orgasmo è sicuramente una limitazione. Rimane difficile immaginare che anche i disabili abbiano una libido e una vita sessuale o quante delle loro esigenze siano esattamente come quelle di una persona senza disabilità. Spesso i soggetti disabili vengono erroneamente considerati degli eterni bambini, asessuati oppure pericolosi in quanto iper-sessuati, sterili o non in grado di controllare i loro comportamento sessuale o di provare piacere. La sessualità però comprende una vasta gamma di aspetti culturali e sociologici così come emozioni e sensazioni, comunicazione, relazione e scambio di piacere. La manifestazione dei propri desideri e bisogni sessuali deve – quindi – essere in accordo anche con il proprio grado di conoscenza e capacità e deve essere considerato un diritto, essere reso possibile e mai ignorato.

Famiglia e sessualità

L’idea del disabile asessuato appartiene quasi sempre in primis ai genitori che, a causa della tipica iper-protezione, tendono ad evitare che il figlio sviluppi relazioni al di fuori dei contesti sociali definiti (come per esempio la scuola) per timore di ipotetici, spesso infondati, pericoli alla salute o per timore di vari tipi di discriminazione che vede – però – come conseguenza una maggiore limitazione alla crescita sociale e sessuale. Il problema viene semplicemente ignorato, non riconosciuto cercando molto spesso di soffocare tali pulsioni. I tempi della pubertà, dell’adolescenza e della vita adulta erotica-sessuale dei disabili rispettano i tempi canonici dei normodotati, anche se quelli dello sviluppo cognitivo possono essere più lenti, questo per evidenziare che il desiderio sessuale può manifestarsi ed essere desiderato nonostante una maturità cognitiva inadatta. La famiglia è il centro sociale per eccellenza per la persona disabile e ne influenza in modo particolare lo sviluppo psicologico. All’interno di questa, l’ambivalenza verso il proprio figlio disabile è tra le prima difficoltà che si riscontrano, il desiderio cioè di una vita normale che si sovrappone alla necessità e desiderio di iper-affettività che, inevitabilmente, si ripercuote sulla sessualità del figlio, percepita – il più delle volte – come un rischio: rischio di abusi, rischio fisico o rischio di rimanere vittima di insoddisfazioni, esponendo però così realmente a rischio il benessere psicosessuale del figlio. Oltre a questo, spesso è la stessa società che stabilisce il ruolo del disabile quale indifferente o inadeguato al sesso, così da consolidare il pregiudizio già sperimentato in famiglia. E’ invece da tenere in considerazione che tra le espressioni affettive utilizzate dalle persone diversamente abili ci sono espressioni di tenerezza, baci e vicinanza fisica che rappresentano una sessualità genitale completa.

L’apprendimento della sessualità

E’ solo negli ultimi anni che si inizia a parlare più spesso della sessualità delle persone disabili come il diritto di tutti gli esseri umani e di tutti i portatori di handicap di esperire la propria sessualità. La sessualità quindi va insegnata e appresa attraverso l’affettività, la socializzazione e le relazioni sin dall’infanzia e innanzitutto attraverso la famiglia. Risulta logico – ovviamente – che la sessualità, pur essendo un bisogno naturale, deve essere soddisfatta in forme culturalmente accettate e definite e rispettare alcune regole, una tra le prime è quella di “decenza”. Dove non sussiste una disabilità intellettiva, la persona è in grado di rispettare le regole. Quando invece parliamo di disabilità intellettiva il problema sussiste nel fatto che il soggetto è incapace di acquisire da solo le regole di “decenza” rendendo difficili i prerequisiti per l’accettazione culturale della sua sessualità, quindi quello che si rende necessario, affinché non venga precluso il diritto all’espressione della sessualità è un intervento educativo. Un intervento educativo che non si propone di regolare un comportamento, ma piuttosto che aiuti la persona a trovare i significati migliori per la propria vita per esprimerli attraverso modalità comportamentali che rappresentino un’occasione di crescita piuttosto che di disagio e di emarginazione.

Assistenza sessuale

In Italia non esiste ancora la figura dell’assistente sessuale, un vero e proprio terapeuta, un assistente con competenze adatte a gestire e canalizzare le pulsioni sessuali dei disabili con l’obiettivo di educare la persona a gestire autonomamente la propria sessualità e la propria emotività attraverso un supporto affettivo, sentimentale ed erotico.  L’assistenza sessuale è, in altri Paesi, un servizio che consiste nell’avere a diposizione un team di specialisti: da psicologi a sessuologi all’assistente sessuale vero e proprio che consente al disabile di entrare in contatto con la propria sessualità. Non ha nulla a che vedere con la prostituzione che rimane ancora oggi, almeno in Italia, tra gli unici approcci alla sessualità del disabile pur non disponendo di una formazione specifica. Diverse famiglie infatti, tra quelle che riconoscono il desiderio sessuale del proprio figlio – come una necessità naturale – hanno come unica modalità per far vivere la sessualità, quella di accompagnarlo da prostitute, ma questo non può non tenere in considerazione che vuol dire anche infrangere le leggi (morali) e scontrarsi con i “benpensanti” che ci circondano. Si profila una doppia valenza emotiva perché da una parte c’è il riconoscimento di un bisogno ma dall’altra la consapevolezza di un atteggiamento moralmente condannabile, senza considerare che risulta piuttosto mortificante che una persona priva di autonomia sia costretta a rivolgersi alla prostituzione e in taluni casi, all’intervento diretto dei genitori. Non c’è da dimenticare che spesso una prestazione sessuale per un disabile ha dei costi notevolmente superiori rispetto ad altre prestazioni e non tutte le famiglie sono nelle condizioni di sostenere periodicamente questi costi. La riflessione ultima, per un argomento così delicato, è se un padre o una madre che porta il proprio figlio/figlia a sperimentare quello che è un suo diritto, non è un padre o una madre da condannare, perché infrange una legge morale che invece non rispetta il diritto alla sessualità, ma un genitore che accudisce e ama suo figlio come qualsiasi genitore dovrebbe fare con un figlio, al di là della sua condizione.

I Sex Toys

Un tentativo per porre rimedio a questo stato dei fatti sono vari studi che hanno l’obiettivo di realizzare dei sex toys adatti ad essere utilizzati dalle persone con varie disabilità, proprio per permettere alla persona disabile di gestire, per quanto possibile, in autonoma la propria sessualità o sperimentare l’erotismo in tutta tranquillità . Nonostante sia proprio l’Italia uno dei paesi, come già accennato, ancora piuttosto indietro nel riconoscimento di tale diritto alla sessualità, è proprio in Italia che è stato sperimentato e ne sono in progetto già altri, il primo sex toy dedicato alle donne con disabilità motorie che consiste in biancheria intima stimolante, sostanzialmente attraverso dei cuscinetti gonfianti e sgonfianti che, attraverso dei sensori, stimolano le parti intime. Per quanto invece riguarda la disabilità maschile ancora poco si è fatto e a poco si adattano i sex toys già generalmente in commercio, che possono si essere usati dai disabili personalizzandone l’utilizzo, ma che spesso sono troppo pesanti e i pulsanti sono di difficile accesso per chi ha determinati tipi di limitazioni alla mobilità. E’ possibile quindi – almeno in parte – supportare l’educazione alla sessualità anche attraverso questi strumenti che consentono una certa autonomia ma è importante, innanzitutto, che la disabilità non diventi mai una condizione di isolamento e che l’autoerotismo non si trasformi in una ulteriore chiusura verso i rapporti affettivi. Il sesso non è solo autoerotismo.

di Maria Teresa Lofari

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