Rapimento e riscatto

Rapimento e riscatto

Di Alessandro Bon

I soldi dei sequestri

La globalizzazione ha generato con il tempo un enorme aumento di viaggi internazionali per permettere alle aziende di cercare nuove opportunità commerciali in tutto il mondo. molte di queste opportunità si trovano nei paesi in via di sviluppo, che spesso hanno sistemi politici instabili, forze di polizia deboli e funzionari governativi corrotti. Questo insieme di fattori sono un ottimo comburente per far innescare la bomba “KRE” (Kidnapping-rapimento, Ransom-riscatto ed Extortion-estorsione). Quindi è bene ricordare che il rapimento di connazionali che si trovino all’estero, sia per lavoro, sia per turismo, è una delle circostanze più temute dai vari governi. Il rapimento di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya il 20 novembre 2018 ha nuovamente riproposto uno dei più controversi dilemmi della politica internazionale: la liceità di un riscatto per un rapimento di persone da parte di terroristi. È una domanda che difficilmente trova una risposta univoca, né ci offre la possibilità di trovare una soluzione che possa farci accettare l’ideologia del “no one is left behind”, ossia nessuno deve essere lasciato in balia degli eventi in mano a sequestratori senza scrupoli. L’altro lato della medaglia, applicato soprattutto da nazioni come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (Terrorism Act 2000) è che “non si tratta con i terroristi”. Un appunto, però, va fatto anche su questa affermazione, la quale, sicuramente, implica il non pagamento di un riscatto, ma accetta eventuali altre forme di negoziazione, come, ad esempio, lo scambio con altri prigionieri. Teniamo presente che nonostante, nel giugno 2013, il G8 si sia impegnato in modo inequivocabile a respingere i pagamenti di riscatto ai terroristi, conformemente al regime delle sanzioni delle Nazioni Unite e ci sia una risoluzione ONU del 2014 (Resolution 2133 – Prevention of kidnapping and hostage-taking committed by terrorist groups) che affermi chiaramente la contrarietà degli Stati a qualunque pagamento per impedire ai terroristi di beneficiare direttamente o indirettamente dei pagamenti derivati dai riscatti, a causa delle contraddizioni interne tra gli stessi paesi firmatari, non si è mai affermata una condotta univoca da perseguire. Si stima che fino all’entrata in vigore della risoluzione ONU siano stati pagati riscatti per un valore pari a circa 125 milioni di dollari, di cui il 50% è stato versato solamente dalla Francia e la 2133 non ha bloccato il flusso economico dei pagamenti così come preventivato. Appare dunque che l’Europa (fatta eccezione appunto per la Gran Bretagna) abbia una costante politica di disponibilità al pagamento di riscatti, nonostante – appunto – che una risoluzione ONU affermi chiaramente la contrarietà degli Stati a qualunque dazione di denaro. D’altra parte, non c’è una linea di condotta definita e le stesse circostanze specifiche possono modificare il quadro a seconda della situazione. Benché l’opinione pubblica tenda a schierarsi politicamente dall’una o dall’altra parte nel pagamento di un riscatto, non dobbiamo dimenticare che un politico, prettamente per la propria popolarità, preferisca la liberazione di un proprio cittadino piuttosto che l’uccisione dello stesso. Cambiando prospettiva, se considerassimo il rapito come un bene e in quanto tale soggetto alle leggi di mercato, il suo valore sarebbe rappresentato dalla cifra per cui un compratore (il suo Stato) spenderebbe. Ora, se nessuno fosse disposto a pagare per i sequestrati, il loro valore crollerebbe e nessuno riterrebbe remunerativo sequestrare persone. Per questo motivo alcuni paesi non pagano riscatti, se lo facessero darebbero intrinsecamente un valore economico ai sequestrati, dando il via ad un mercato redditizio. Questo ragionamento ha messo fine, in Italia, al mercato economico dell’anonima sequestri calabrese e sarda. Tuttavia quello che vale per il “mercato” interno non vale per quello estero e molti paesi sono orientati al “no one is left behind ”. Dall’altra parte, il rifiuto di pagare un riscatto a dei terroristi può sembrare insensibile, ma in realtà è l’unica politica veramente etica. È evidente che pagare i riscatti o offrire altre concessioni alimenta ulteriormente il terrorismo, non soltanto perché fornisce dei mezzi di sostentamento economico ai terroristi, permettendogli l’acquisto di armi, esplosivi e prodotti ad alta tecnologia (come ad esempio i droni) ma anche perché incentiva a ripetere i sequestri di cittadini di paesi “che pagano”, su più ampia scala. Ci sono poi altre vite che vanno considerate nella liberazione di un ostaggio e sono quelle coinvolte nelle liberazioni, che non sempre vanno come pianificato. A tal proposito si ricorda il caso Sgrena-Calipari, che ha visto l’uccisione dell’ex funzionario della Polizia di Stato in forza al Servizio Segreto militare (SISmI). Nessun politico però (anche per motivi elettorali) vorrebbe avere sulla coscienza una vita umana, un proprio concittadino, rapito all’estero, per il quale non si è cercato di fare nulla per salvarlo. Pagare un riscatto, seppur considerabile, in un rapporto costi/benefici, una scelta irrazionale, è la soluzione preferita dai governi (il nostro in prima fila) perché segue quello che, in psicologia delle relazioni umane, viene definita “la regola del salvataggio”. È un imperativo etico salvare vite individuali anche quando il denaro potrebbe essere speso in modo più efficiente per prevenire le morti nella popolazione più ampia (Doughety, 1993). In caso d’emergenza “salvare a tutti i costi” il singolo, diventa un dovere da cui non ci si può esimere. Nasce allora un paradosso: i governi che pagano riscatti, rispondono ad un imperativo morale (la regola del salvataggio) e salvano le vite dei propri cittadini, ma nel farlo, espongono ad un rischio più grande le vite degli altri, perché quei soldi serviranno ai terroristi per diventare ancora più forti. Gli ostaggi di paesi europei – noti per il riscatto – hanno maggiori probabilità di essere rilasciati. Gli ostaggi di paesi come Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e Svizzera hanno molte più probabilità di essere liberati, anche quando sono detenuti da gruppi terroristici che hanno maggiori probabilità di uccidere i loro ostaggi. L’88% degli ostaggi dell’Unione europea detenuti da gruppi terroristici jihadisti sono stati liberati, rispetto al 25% per gli Stati Uniti e al 33% per il Regno Unito.

Comunque è da notare che i cittadini di paesi che fanno concessioni, come pagamenti di riscatto, non sembrano essere rapiti con tassi sproporzionatamente più alti rispetto a nazioni che non pagano. Infatti, non esiste un chiaro legame tra la politica del pagare un riscatto di una nazione e il numero dei suoi cittadini presi in ostaggio. Guardando alcuni numeri, dal 2001, gli Stati Uniti hanno avuto il maggior numero di ostaggi con 225 cittadini sequestrati, seguiti dall’Italia con 148, dalla Francia con 143 e dal Regno Unito con 137. Tutti questi rapimenti sono guidati principalmente da condizioni di instabilità generale in paesi come l’Iraq, la Siria e lo Yemen, piuttosto che dal “target” di determinate nazionalità. Non ci sono preferenze in poche parole. Quindi parlare di scelte corrette o meno, in determinate situazioni, non è affare di poco conto e deve essere sempre ed esclusivamente valutato in base al contesto in cui ci troviamo. Ovunque ci siano stati nostri connazionali in mano alle bande criminali o terroristiche, le più disparate, l’Italia ha fatto di tutto per riportarli a casa. In tema di rapimenti, l’Italia si attiene a regole e comportamenti condivisi sul piano internazionale e ha sempre operato in continuità con la linea seguita nel tempo dai governi che si sono succeduti. Non è la linea di né di un governo né dell’altro, ma è la linea dell’Italia.

Altre volte invece si sono ottenuti risultati senza che fosse avvenuto un pagamento di riscatto, ma a conclusione di una complessa e delicata attività di intelligence, investigativa e diplomatica. In ambito internazionale, quando si verifica un rapimento a scopo di estorsione, dobbiamo tener presente che nessuno da nulla per nulla e che gli interessi in campo sono molti e vanno ben oltre la nostra conoscenza a prescindere dai governanti. La verità rimarrà sempre seppellita sotto una fitta coltre di conferme ufficiose e smentite ufficiali.

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