Le “Marocchinate”

Le “Marocchinate”

Pagine di storia dimenticata

Il 14 maggio 1944, i “Goumiers” del Corps expéditionnaire français en Italie -costituito per il 60% da soldati marocchini, algerini, tunisini e senegalesi- attraversando un terreno apparentemente invalicabile dei monti Aurunci- aggirarono le linee difensive tedesche nell’adiacente Valle del Liri, consentendo al XIII Corpo Britannico di sfondare la linea Gustav e avanzare.
Si ritiene che in seguito il Generale Adolph Juin, comandante del Cef, abbia concesso un po’ di “svago” ai suoi uomini, circa cinquanta ore, almeno nelle sue intenzioni. Succedeva nelle stesse ore in cui le truppe polacche issarono la loro bandiera sulle rovine dell’Abbazia di Monte Cassino: il 18 maggio 1944. Quel giorno fu l’apice delle “marocchinate”, l’insieme degli stupri di gruppo, uccisioni, saccheggi e violenze consumate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana.
Ne parliamo con Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate.

Quanto durarono le violenze?

Oltre due anni e mezzo. Gli stupri delle truppe marocchine cominciarono già nel luglio 43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 832 magrebini del 4° Tabor aggregato agli americani che sbarcarono a Licata, saccheggiarono e violentarono donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina. I siciliani reagirono uccidendone alcuni, con doppiette e forconi.

Quante furono le violenze?

Le violenze accertate furono ventimila. Nella seduta notturna della Camera del 7 aprile 1952, la deputata del PCI Maria Maddalena Rossi denunciò che solo nella provincia di Frosinone vi erano state 60.000 violenze da parte delle truppe del generale Juin. Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dellepoca riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare, per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate e di circa 180mila atti di stupro, questo perché ogni donna veniva violentata quasi sempre da più uomini. I soldati magrebini mediamente violentavano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da centinaia di uomini. Oltre alle violenze carnali, vi furono decine di migliaia di richieste per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni.

 

Possibile che le autorità francesi non sapessero nulla di un simile comportamento dei loro soldati?

Sapevano tutto. Abbiamo ritrovato un memorandum in cui il generale Juin intimava alle sue truppe di mantenere un certo contegno, nonostante la forte avversione – odio addirittura – nei confronti degli italiani, perché simili comportamenti avrebbero compromesso il buon nome della Francia. Il generale Juin sapeva perfettamente quello che succedeva, così come De Gaulle, Badoglio e gli Alleati anglo-americani. Basti pensare che su ogni denuncia presentata era presente la dicitura «Governo Alleato Militare informò». Nessuno mosse un dito per fermarli. Curioso pensare come sia intervenuto persino Papa Pio XII per impedire l’ingresso delle truppe franco-coloniali a Roma, infatti nella Capitale fu inviato solo un piccolo contingente di rappresentanza. Le truppe stazionarono fuori la Città, nelle zone dei Colli Albani e nella provincia di Viterbo, tutti territori oggetto di razzia e violenze, ovviamente.

É vero che anche alcuni membri della Resistenza subirono abusi?

Sì assolutamente, mogli e figlie di alcuni partigiani vennero violentate. Non stavano molto a guardare il colore politico, quello che era a tiro se lo prendevano, senza starsi a preoccupare troppo.

Cosa successe a Don Alberto Terrilli, parrocco di Santa Maria di Esperia?

Don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera, morì qualche settimana dopo per le lacerazioni interne riportate. È uno dei casi più raccapriccianti, è bene ricordare che anche tanti uomini, nel tentativo di difendere le donne, venivano stuprati a loro volta e barbaramente trucidati. Il 20 maggio 1944 a Vallecorsa, in provincia di Frosinone, il parroco Enrico Jannoni, missionario dellordine religioso dei Redentoristi fu fucilato dalle truppe marocchine, perché tentò di difendere alcune donne che stavano per essere violentate.

La violenza era perpetrata da più soldati insieme, perché innanzitutto serviva ad immobilizzare gli uomini, ma anche laddove non c’era resistenza da parte dei familiari, si muovevano in gruppi, composti da circa dodici persone. La violenza era terribile: le vittime venivano dapprima malmenate brutalmente, molte perdevano anche i denti a causa delle forti percosse e poi c’era la violenza sessuale. Se opponevano una eccessiva resistenza, gli sparavano direttamente. In moltissimi casi le famiglie erano costrette ad assistere agli stupri, genitori, figli, mariti obbligati a guardare prima lo stupro e poi l’assassinio della malcapitata. Stupri commessi su donne di ogni età -la più anziana aveva ottantacinque anni-  su uomini e bambini, il più piccolo aveva quattro anni, in provincia di Caserta. A Cassino abbiamo trovato un documento che testimonia il caso di una ragazza violentata e bruciata viva, in altri casi gli uomini venivano crocifissi. La cosa ancora più terribile furono gli effetti degli stupri, emorragie, gravidanze indesiderate con conseguenti aborti clandestini (che portarono anche alla morte), malattie veneree, nella maggior parte dei casi. In Europa, negli ultimi 2700 anni ci sono stati quatto grandi stupri di massa e questo è il più documentato ed il secondo per gravità. Proprio per questo motivo, le Marocchinate sono oggetto di studio di diverse università straniere, tra cui l’Università di Chicago, interessata agli effetti storici, culturali ed economici delle violenze.

Secondo Lei, perché ancora oggi si parla così poco di questa una pagina di storia?

Soprattutto agli inizi ci fu molta reticenza a parlarne, in particolare tra le vittime di abusi, per vergogna e per il timore di dover portare addosso un marchio di infamia. Ecco perché la maggior parte delle violenze non fu denunciata. A livello politico e militare -e questa è la cosa più grave- non se ne è mai parlato volentieri, non si poteva infangare il lavoro svolto dalle truppe alleate. Purtroppo si persiste a raccontare la storia come se fosse una bella favola. C’è però un’altra faccia della Liberazione e parlarne agita parecchi animi.

Vi hanno criticato per il vostro lavoro di ricerca?

Ci hanno dato dei razzisti, perché “ce la prendiamo” con le truppe coloniali, omettendo del tutto il fatto che in realtà, a nostro avviso, i responsabili di tutto questo furono i francesi. Alcuni sostengono che i soldati italiani hanno fatto lo stesso nelle colonie: assolutamente falso. Basti pensare che se un soldato veniva “beccato” a violentare una coloniale, era immediatamente rimpatriato e posto sotto corte marziale. Anche il madamato non era uno stupro minimamente paragonabile alle marocchinate, era un atto more uxorio, in molti casi anche con minorenni, introdotto da Vittorio Emanuele II e abolito nel 1937. Proprio per evitare paragoni assolutamente inopportuni e sensibilizzare persone e istituzioni su una delle pagine più brutte e dolorose della storia italiana, ci stiamo impegnando strenuamente affinché il 18 maggio, data altamente simbolica, venga istituita la “Giornata nazionale delle vittime delle marocchinate”, per ricordare le 60.000 vittime italiane, uomini donne e bambini violentati e uccisi dalle truppe coloniali francesi. Sono già trentasei i comuni in cui questanno si celebrerà la giornata della memoria. Ci auguriamo che presto tale ricorrenza possa essere commemorata a livello nazionale.

di Michela di Gaspare

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