Le cause ambientali della migrazione

Le cause ambientali della migrazione

AFRICA

Fuga dai fenomeni estremi

Il docente universitario egiziano Essam El-Hinnawi è stato il primo a usare il termine “profughi ambientali” nel 1985, in una relazione per l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e riguarda tre categorie: sfollati a causa di spostamenti temporanei dovuti a calamità naturali, migranti a causa di degrado ambientale permanente e quelli che migrano in modo temporaneo o duraturo a causa di cambiamenti ecologici dell’ambiente del loro paese di origine.

Il primo, invece, ad usare il termine ”rifugiati ambientali” è stato lo scienziato inglese Norman Myers: “I rifugiati ambientali sono persone che non possono più garantirsi mezzi sicuri di sostentamento nelle loro terre di origine principalmente a causa di fattori ambientali di portata inconsueta. Questi fattori comprendono siccità, desertificazione, deforestazione, erosione del suolo e altre forme di degrado del suolo; deficit di risorse come, ad esempio, quelle idriche, declino di habitat urbani a causa di massiccio sovraccarico dei sistemi; problemi emergenti quali il cambiamento climatico, specialmente il riscaldamento globale; disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni, e anche terremoti, con impatti aggravati da errati o mancati interventi dell’uomo. Possono concorrere fattori aggiuntivi che inaspriscono i problemi ambientali  e che spesso, in parte, derivano da problemi ambientali: crescita demografica, povertà diffusa, fame e malattie pandemiche. Altri fattori ancora comprendono carenze delle politiche di sviluppo e dei sistemi di governo che “marginalizzano” le persone in senso economico, politico, sociale e legale. In determinate circostanze, alcuni fattori possono fungere da “scatenanti immediati” della migrazione, per esempio colossali incidenti industriali e costruzione di dighe smisurate. Molti di questi fattori possono agire in concomitanza, spesso con effetti cumulativi. Di fronte ai problemi ambientali, le persone coinvolte ritengono di non avere alternative alla ricerca di sostentamento altrove, sia all’interno del loro paese che in altri paesi, sia su base semipermanente che su base permanente”.

Il cambiamento climatico che porta le  conseguenze più catastrofiche è la desertificazione,  conseguenza attribuibile anche all’effetto serra, insieme alle forti richieste di acqua delle economie locali. Anche la cattiva gestione dell’acqua può causare conseguenze gravissime come migrazioni e guerre.

La costruzione di immense dighe ha prodotto forti  impatti sociali. La Commissione mondiale sulle dighe (WCD) ha valutato che gli individui sfollati, a livello mondiale, a causa della realizzazione delle dighe, sono tra i 40 e gli 80 milioni. Quasi tutte le dighe sono state finanziate dalla Banca Mondiale. I costi socio-economici derivati dalla costruzione di queste gigantesche opere sono elevatissimi, poiché si assiste non solo ad evacuazioni forzate nelle zone limitrofe al nuovo invaso, ma anche di quelle vicino ai fiumi,  afflitte dalla carenza di acqua. Gli allontanamenti delle persone per la costruzione delle opere non sempre sono pacifici, a Kariba, tra lo Zimbabwe e lo Zambia, nel 1960 l’esercito rhodesiano aprì il fuoco sulla popolazione Tonga che resisteva, uccidendo 8 persone e ferendone 30. La diga che usa il 40% dell’acqua del fiume Zambezi, ha causato uno dei peggiori disastri ecologici in Africa (cosi J. Leslie).

Nel 1980 la polizia nigeriana ha sparato sulla popolazione che protestava per la costruzione della diga di Bakalori. La diga di Gilbel Gibe III è stata costruita in Etiopia dalla società italiana Salini. Ha un’altezza di 240 metri e un bacino acquifero lungo 150 chilometri ed è la diga più grande dell’Africa. La diga sta cambiando la portata del  fiume Omo primo affluente del Lago Turkana, eliminando il naturale  ciclo delle piene e mettendo a grave rischio pascoli e coltivazioni di tutta la regione. Le tribù dei Kara e dei Kwegu, che vivono lungo il corso del fiume sono a rischio di migrazione forzata e come anche tutti gli abitanti del delta del fiume. Il governo si è spesso mosso contro le organizzazioni tribali. A sud dell’Etiopia sono state sciolte 41 associazioni locali e ciò ha reso impossibile il dialogo tra le varie comunità rispetto agli effetti che stava provocando la diga.

Il continente più afflitto dalle carestie è l’Africa a causa della siccità, dell’eccessivo sfruttamento delle terre, della salinizzazione ed erosione del suolo e della deforestazione. Devastanti sono state le siccità del Sahel nei primi anni ’70 e nel 2004 in Kenya, Uganda, Eritrea, Etiopia e Somalia. La desertificazione è una delle cause delle fughe verso i grandi centri urbani a nord e a sud del Sahara. Dagli anni’80 il bacino del lago Ciad si è progressivamente prosciugato, mentre la popolazione è aumentata da 40 a 130 milioni e i terreni coltivabili sono andati aumentando, con il rischio di un’evacuazione di massa una volta esaurite le riserve idriche del bacino. In Etiopia del nord tra gli anni’70 e ’80 si sono verificate una serie di annate caratterizzate da una forte siccità, a causa delle quali 500.000 persone sono migrate in Sudan e Somalia, mentre  600.000 contadini si sono spostati da sud a nord, di cui 100.000 tra il 1984 e il 1985 sono morti di fame.

In Mozambico al problema della desertificazione, si sono sommati quello dell’innalzamento delle acque del mare e quello dell’erosione delle coste. Il paese ha subito otto forti inondazioni negli ultimi vent’anni  ed è riuscito a ridistribuire la popolazione, che anche se al sicuro da eventi catastrofici, ha perso l’accesso ai terreni riproduttivi posti sulle sponde di fiumi e mari e dipende dagli aiuti dello Stato e da quelli internazionali.

Nel 2019 il ciclone Idai ha provocato vere e proprie devastazioni in Africa sudorientale, oltre 600.000 persone sono migrate tra Mozambico, Zimbabwe e Malawi a causa delle inondazioni.

La onlus Grain che si occupa di sostenere i piccoli contadini  per difendere i sistemi alimentari basati sulla biodiversità, nel 2012, in un report basato su dati   ufficiali delle Nazioni Unite, ha evidenziato il forte collegamento tra le lottizzazioni massive, le riserve idriche  e ciò che sta accadendo a tre grandi sistemi fluviali, Indo, Niger e Nilo,  che irrigano Africa e Asia. In Africa una persona su tre subisce la scarsità di acqua e il cambiamento del clima sta peggiorando la situazione. I contratti terrieri in Africa prevedono non solo la concessione di terre, ma anche l’uso dell’acqua necessaria per l’irrigazione in agricoltura, con la possibilità di deviare fiumi e costruire bacini e dighe.

L’accesso alle risorse idriche rappresenta il vero guadagno di lungo periodo della nuova frontiera del “land grabbing”  e, spesso, ha un valore maggiore di quello degli stessi terreni agricoli.   La concessione di milioni di ettari terra per uso agricolo intensivo alle multinazionali dell’agrobusiness potrebbe impedire a milioni di persone l’accesso all’acqua  e far rischiare l’esaurimento delle fonti di acqua dolce.

Gli eventi climatici sempre più estremi combinati con la progressiva diminuzione della  disponibilità di fonti d’acqua dolce, causata in parte sia dalla costruzione di dighe, che dall’accaparramento, da parte di investitori mondiali, di terre e fonti di irrigazione per produzioni intensive di prodotti  agricoli  e di biocarburanti,  stanno divenendo gli elementi chiave per la comprensione dei futuri eventi geopolitici africani.

di Roberto Tomarchio

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