La Mafia jihadista

La Mafia jihadista

SICUREZZA INTERNAZIONALE

Narcotraffico e immigrazione clandestina

Il Sahara non è identificabile unicamente come il teatro di nuove e vecchie fazioni terroriste, ma è anche il territorio percorso dai contrabbandieri di droga per trasportare sostanze stupefacenti verso le coste del Nord Africa così che i prodotti vengano smistati in Europa e in Medio Oriente. Questa situazione assai preoccupante è stata denunciata dalle autorità marocchine ed egiziane (il varco di accesso con la Libia el-Salloum sembra essere un canale largamente sfruttato anche con la complicità del Fronte Polisario) che hanno anche espresso i legittimi sospetti, secondo cui dietro questi traffici ci sia il finanziamento ad Al Qaeda. All’interno del libro “Sahara, deserto di mafie e jihad” il professore Marco Aime, antropologo dell’Università di Genova, ha descritto una situazione preoccupante creatasi nella zona nord del Mali: “L’Azawad rischia di trasformarsi in un nuovo Afghanistan, dove bande indipendenti gestiranno i traffici di droga ed esseri umani lungo la rotta che dal Sud America porta all’Europa. Secondo l’accademico i miliziani di Ansar Eddine possono essere paragonabili al modello afghano, arrivando a palare di “talebani d’Africa” (cit. Boccolini & Postiglione).

Stati collusi

Uno degli esempi di stati falliti collusi con gli interessi jihadisti e dei narcotrafficanti sembra essere la Guinea Bissau. Un punto a favore per questa nazione è la collocazione geografica: il paese infatti si trova sull’Highway 10, ovvero sul decimo parallelo, e ciò consente di avere un percorso più breve tra Sud America e Africa. Alcune testimonianze citate nel libro già menzionato descrivono come a Gao siano state costruite ville faraoniche per accogliere i malavitosi; inoltre, nella capitale della Guinea, appunto Bissau, è stata registrata una considerevole presenza di colombiani. Secondo la Drug Enforcement Agency (Dea),  fra gli ottocento e i mille chilogrammi di cocaina vengono trasportati ogni notte nel paese africano. Le numerose ricostruzioni compiute circa i rapporti di potere nella zona sembrano confermare come questo traffico sia gestito da Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), Mujao (il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale) e Ansar Eddine (Tuareg, il nome significa “seguaci della religione”). Le informazioni diffuse dalla United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) rilevano come il valore del commercio di droga in Guinea Bissau superi il reddito nazionale.

Droga e Jihad

Oltre ad essere “spacciatori” di droga, gli jihadisti sono essi stessi consumatori di sostanze stupefacenti, anche se ciò viene celato e negato perché la narrazione più diffusa descrive i guerriglieri come lontani dai vizi terreni. Quanto appena dichiarato è emerso dalle ricerche condotte da Massimiliano Boccolini e da Marta Serafini (nel libro “L’ombra del nemico”). Tutto ciò è spiegabile dalla natura stessa dell’essere umano: le persone istintivamente fuggono dalla morte e, se si osserva in maniera meno superficiale, al rapporto tra droga e religioni, si possono trovare ulteriori conferme. L’utilizzo di sostanze stupefacenti ha spesso caratterizzato l’avvicinamento dell’uomo alla divinità in svariate culture: i poemi epici, gli indo americani (attraverso l’assunzione di funghi allucinogeni), l’oracolo di Delfi risalente all’antica Grecia (le sacerdotesse annunciavano le loro profezie con l’influenza dei vapori gassosi psicoattivi emanati dalla terra). Anche nella Bibbia si ipotizza che l’olio santo citato dal Libro dell’Esodo fosse in realtà cannabis, mentre lo stato di ebbrezza di Noè sarebbe da ricondurre all’abuso di vino. Per quanto riguarda l’Islam, in particolare nella corrente legata al sufismo, il riferimento all’hashish è presente. Non è certo un segreto che la stragrande maggioranza dell’oppio mondiale derivi delle coltivazioni di papavero in Afghanistan.

Islam e droga

Sia dal punto di vista esterno che interno all’Islam si è sempre compiuto un grandissimo sforzo per negare la realtà qui sommariamente descritta e ciò è dovuto soprattutto all’intenzione di descrivere un “Islam unico”, uguale in ogni nazione ed interpretato in egual maniera. Come è avvenuto nella storia del cristianesimo (scismi, concili ed ulteriori successive divisioni) non si può parlare dell’Islam come di un corpo unico e compatto. I fatti legati al narco-jihadismo dimostrano quanto l’atteggiamento sia diverso: da un lato individuiamo le autorità egiziane e marocchine pronte a combattere il fenomeno, dall’altra si staglia il ruolo della Libia che, soggetta internamente ad una confusione catastrofica, si ritrova a scendere a patti con il narcotraffico mondiale, insieme a Guinea Bissau, Mali ed altre microregioni di stati confinanti. Finché l’Europa non comprenderà che la narrazione jihadista non può essere letta unicamente con la lente dello scontro di civiltà tanto cara a Samuel Huntington, finché non si entrerà nell’ottica atta a distinguere la religione – la cultura – la “mafia” saremo sempre in balia di una visione distorta e miope.

Islam e migrazioni

Un altro fenomeno in quest’ottica, spesso valutato, che finanzia il terrorismo internazionale è il racket dell’immigrazione clandestina. Come avviene ogni estate, ma ormai neanche più le stagioni sono un freno, gli sbarchi sulle nostre coste si fanno incessanti. Nell’opinione pubblica italiana e nei media spesso si è discusso ed analizzato il ruolo delle Ong e delle associazioni umanitarie in genere, quasi si fosse creato un dualismo sciocco tra indomiti eroi e scellerati cittadini che non li reputano tali. Questa narrazione ha fuorviato il dibattito e spostato l’attenzione unicamente su ciò che si potrebbe definire “la punta dell’iceberg”. Qualsiasi persona, me compresa, dotata di coscienza e senso civico si dispera all’idea che orde di uomini donne e bambini considerino la loro vita nei paesi di origine a tal punto intollerabile da intraprendere un viaggio pericoloso. Proprio sul viaggio e su chi lo rende possibile dovremmo concentrarci. Numerosi libri alla “portata di tutti” (reperibili in qualsiasi libreria e con linguaggio semplice, scritti da indubbi professionisti e non solo da accademici) descrivono in maniera chiara ciò che avviene; torno a suggerire: “L’ombra del nemico” di Marta Serafini, e “Sahara, deserto di mafie e jihad” di Massimiliano Boccolini e Alessio Postiglione; “Mercanti di uomini” di Loretta Napoleoni Questi testi, redatti da illustri giornalisti, che hanno svolto approfondite ricerche, ci impongono serie riflessioni: il primo dona al lettore la consapevolezza di quanto sia facile per terroristi mascherati da migranti inserirsi nel sistema ed arrivare in Europa; il secondo, analizza come molte organizzazioni terroristiche abbiano abbandonato il business dei rapimenti di turisti e lavoratori (negli anni scorsi sono stati coinvolti anche italiani) perché ormai consapevoli che l’immigrazione sia la vera risorsa a cui attingere; il terzo, analizza come la mafia libica abbia appoggi anche nei paesi confinanti ed il titolo stesso testimonia la squallida realtà di persone disperate e pronte a compiere sacrifici immani affidandosi a personaggi loschi; Questo sommario quadro è confermato da un libro “Io Khaled vendo uomini e sono innocente”. In questo testo l’autrice, Francesca Mannocchi, ha raccolto la testimonianza di uno scafista libico che ha voluto ripercorrere la sua vita personale e donare una nuova lente con cui guardare all’immigrazione. Emerge come, già dai tempi di Gheddafi, il governo gestiva/filtrava l’immigrazione e che il fenomeno era usato/sfruttato dallo stesso governo per ottenere concessioni. Risale al febbraio 2015 l’ultima intervista in cui il rais dichiarò: “Senza me vi invaderanno”, “il Mediterraneo diventerà un mare di caos” ed ancora “La scelta è tra me o Al Qaeda”. La testimonianza dello scafista “pentito ma non troppo” squarcia un muro di omertà e perbenismo. Bisogna finalmente ammettere che i migranti non si limitano a pagare un viaggio pericoloso (si stima che i soldi investiti dai singoli siano migliaia di euro, non certo facilmente reperibili in paesi poveri o dilaniati da scontri), ma finanziano personaggi dubbi legati alla filiera del terrorismo. Bloccare lo sbarco dei migranti potrebbe non essere una risoluzione per persone senza cuore, contrapposti a moderni benefattori unici detentori di umanità. Impedire il viaggio, oltre a ridurne i numeri (perché partire se sono conscio che le possibilità di arrivare sono quasi nulle?), impedirebbe il finanziamento del terrorismo internazionale. Aprire gli occhi e comprendere che l’Isis, Al Qaeda e molti altri trovano guadagno da droga, armi e migrazioni selvagge sarebbe il primo passo per dimostrare lucidità. Far sì che l’immigrazione incontrollata continui, probabilmente donerà un balsamo spirituale a chi oggi si sente parte della storia dei soccorsi (sicuramente persone eccellenti che si sacrificano all’idea di un bene superiore), ma stupisce come noi italiani, terra di “pizza, mafia e mandolini”, non ci uniamo compatti. Tutti noi ci dichiariamo anti-mafia, ma non sappiamo più identificare cosa essa sia. Lo scafista che si confessa descrive una realtà allucinante: donne stuprate in modo cruento e selvaggio, uomini torturati in modi che neanche riusciamo ad immaginare. Non paghi, i delinquenti chiedono a costoro altri soldi con la minaccia di cederli ad altri gruppi che ricominciano con la spirale della violenza. I centri di detenzione pre partenza sono descritti come un inferno: container, lamiere, poste sotto il solo cocente e con dosi assai razionate d’acqua. Per salvare i migranti da queste torture dovremmo impedire la partenza o rendere il business dei viaggi così poco attraente da non diventare più appetibile. È vero, ne faranno le spese vittime inermi della ferocia, ma non prendendo in mano la situazione altri innocenti subiranno lo stesso trattamento e questo eterno cerchio non sarà interrotto. Parlare di migrazioni senza contemplare il finanziamento alla mafia è – ormai – assurdo.

di Arianne Ghersi

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