Iran: la voce fuori dal coro Intervista a Hanieh Tarkian

Iran: la voce fuori dal coro Intervista a Hanieh Tarkian

INTERNAZIONALE

Premessa
Incessanti notizie da parte dei mass media hanno riportato immagini di proteste e ribellioni in seguito alla morte di Mahsa Amini. Il mondo politico e culturale italiano hanno, fin da subito, speso parole di cordoglio verso coloro che sembrano essere vittime di un regime e si sono prodigati nel condannare la condotta degli Ayatollah.
I Talk Show e i principali organi di stampa hanno dato largo spazio a chi testimoniava soprusi da parte della polizia religiosa.
Intervistiamo la dott.ssa Hanieh Tarkian, una donna Italo-iraniana, che ha completato il dottorato in Scienze Islamiche presso il Jamiat az-Zahra, il più importante centro femminile di studi islamici dell’Iran, ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali e Studi Strategici.
Attualmente è docente e coordinatrice del Master in lingua italiana in Studi Islamici organizzato dall’Università internazionale Al-Mustafa (Iran).

Sono ancora vivi nella memoria collettiva le immagini delle proteste in Siria e le atrocità dell’Isis. Attualmente nuove manifestazioni infiammano l’Iran e il conflitto Russia-Ucraina è parte della quotidianità nell’informazione. Quali sono gli equilibri internazionali in campo e quali sono i collegamenti? I mass media che ruolo ricoprono?

La guerra in Ucraina e le proteste in Iran sono due esempi di eventi che vengono manipolati dalla propaganda mediatica con, a mio avviso, lo scopo principale, da parte di quelle che mi piace definire “elite mondialiste guerrafondaie”, di demonizzare due nemici: la Russia e l’Iran. La guerra in Ucraina e le proteste in Iran, e più in generale la situazione in Medioriente, vengono descritti da questi media mainstream, in mano all’elite mondialista che gestiscono i canali mediatici, e vogliono proporre questi due stati come “stati canaglia” o “nemici”.
Dal 2015, ossia da quando Mosca è intervenuta in Siria, nella lotta contro il terrorismo, in cui ha svolto un ruolo apicale il generale Soleimani (Generale Iraniano dei Guardiani della Rivoluzione, combattente con i lealisti siriani, ucciso da droni USA in Iraq), c’è stato un rafforzamento dei legami e di collaborazione tra Russia e Iran non solo nel campo della lotta al terrorismo, ma anche dal punto di vista economico, culturale e politico. In realtà ciò non è avvenuto solo tra questi due paesi, ma sono coinvolti anche Cina e India (Inseriti nello Sco – Organizzazione per la sicurezza di Shanghai). Si sta verificando una transizione verso un mondo multipolare, in cui ci si allontana dall’unilateralismo atlantista a guida Usa, in cui ogni nazione ha il diritto di perseguire i propri interessi e preservare la propria identità culturale senza giudizi o ingerenze esterne. Gli Stati Uniti e i suoi alleati non cederanno facilmente la loro egemonia perché il paese a stelle e strisce, negli ultimi vent’anni, vive di crisi e destabilizzazioni. Ciò che è avvenuto in Libia, in Iraq, in Afghanistan, in Siria è da imputare principalmente agli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione.
Nella crisi in Ucraina vediamo gli Usa e la Nato che vogliono combattere, come qualcuno ha detto, fino all’ultimo ucraino contro la Russia e in Medioriente, dopo aver destabilizzato Afghanistan, Iraq e Siria, hanno puntato all’Iran.
Quello che sta avvenendo oggi in Iran, a mio avviso, deve essere osservato a livello globale come uno scontro tra l’unilateralismo e l’egemonia atlantista da una parte sostenute da queste elite mondialiste guerrafondaie, che hanno anche “in mano” la propaganda mediatica, mentre dall’altra parte troviamo gli Stati che stanno favorendo la transizione verso un mondo multipolare. La propaganda mediatica ha oggi un forte ruolo nel minare l’identità dei popoli; è qualcosa che abbiamo visto in Europa mentre i cittadini mediorientali, con particolare riferimento alla Siria e allo Yemen, sono riusciti ad arginare questa influenza.

Parliamo di diritti umani, Mahsa Amini è stata uccisa per un pestaggio della polizia religiosa iraniana…

Per quanto riguarda Mahsa Amini c’è un problema di propaganda mediatica perché, senza praticamente nessuna prova, si è presa per buona la versione di alcuni canali mediatici che non possono essere considerati imparziali: Iran International, un canale satellitare gestito dai sauditi e la BBC in lingua persiana. È stata riportata la notizia che Mahsa Amini sarebbe morta a seguito di un pestaggio quando invece esistono le immagini delle telecamere a circuito chiuso della stazione di polizia dove si vede che la ragazza ad un certo punto sviene. Aveva avuto in passato dei problemi, era stata operata all’età di otto anni; la sua cartella clinica riporta tutto, al giorno d’oggi le informazioni sanitarie vengono registrate, non è quindi difficile risalire all’anamnesi di una paziente.
Non c’è stato alcun pestaggio e, a mio avviso, il problema è che venga accettata la versione di determinati canali mediatici non proprio imparziali o di dissidenti che, analizzando il loro profilo twitter, vengono “sostenuti” da followers che si scoprono essere dei profili falsi.
Nessuno nega che in Iran vi sia una minoranza di persone contrarie all’ordinamento della Repubblica Islamica; bisogna però fare attenzione: l’Iran è una repubblica islamica, non è una teocrazia o una dittatura teocratica come molto spesso viene definita, e ciò significa che il popolo ha un ruolo importante e fondamentale nella vita politica. La stessa istituzione della Repubblica islamica non sarebbe stata possibile senza il popolo, infatti è avvenuta subito dopo la rivoluzione del 1979: c’è stato un referendum in cui il 98% dei votanti si è espresso favorevolmente a tale forma di governo. La rivoluzione stessa, in realtà, è stata una rivoluzione popolare e non si sarebbe potuta verificare senza l’appoggio dei cittadini. I funzionari stessi dello stato rimarcano l’essenzialità della popolazione, in Iran si svolgono elezioni regolari sia per quanto riguarda il Parlamento sia per l’elezione del Presidente della Repubblica, la Guida Suprema viene votata in maniera indiretta attraverso un’assemblea. Questa forma di partecipazione popolare non impedisce che avvengano riforme o di sostenere dei cambiamenti, ma non devono essere imposti da forze esterne o da una minoranza.
Perché i media non fanno vedere le manifestazioni di milioni di iraniani a sostegno dell’ordinamento della Repubblica Islamica? Perché questo distruggerebbe quella che è la loro narrazione dei fatti.

In percentuale, quindi, quanti potresti ipotizzare che siano i sostenitori della causa di Mahsa Amini e quanti sono in piazza a sostegno del governo?

Dati ufficiali non ce ne sono. È quasi impossibile distinguere tra quella che è una manifestazione pacifica e quella che invece si è trasformata in protesta violenta. Ci sono filmati, che non vengono mostrati in Italia, in cui si vedono persone distribuire denaro ai passanti affinché partecipino ai cortei. Questo rende ancora più difficile stabilire delle percentuali esatte. Poniamo il caso che queste proteste arrivino al migliaio di partecipanti, non sono niente in confronto alle centinaia di migliaia e ai milioni di iraniani che hanno partecipato alle manifestazioni pro governative in tutte le città dello stato. L’ultima si è svolta pochi giorni fa dopo l’attentato terroristico che si è consumato a Shiraz ed erano ben visibili slogan a sostegno del governo e di condanna verso l’attacco compiuto.
La maggior parte del popolo sostiene l’ordinamento, altrimenti sarebbe impossibile il verificarsi di manifestazioni di questo tipo. Accade soventemente che venga messa in dubbio la sincerità di tale sostegno perché ipotizzano che i manifestanti siano pagati o influenzati dalla propaganda governativa. Chi conosce la realtà dell’Iran, senza pregiudizi e senza considerazioni scaturite dalla propaganda mediatica, si rende bene conto che la maggior parte degli iraniani sostiene il proprio ordinamento anche perché in queste proteste purtroppo ci sono state infiltrazioni sia da parte di gruppi terroristici, sia di agenti pagati dall’estero. Normalmente il popolo non vuole la destabilizzazione nel proprio paese, anche se contrario a determinate norme/leggi o vorrebbe delle riforme; gioca un grande ruolo anche la pressione economica data dalle sanzioni illegali imposte. Tutto ciò porta sicuramente un certo malcontento, ma desiderare un cambiamento è diverso dal volere la destabilizzazione di un paese o arrivare ad un punto in cui si consuma un attentato terroristico; i terroristi hanno approfittato di questa caotica situazione infatti, nel frattempo, erano già stati sventati altri attacchi. Questa situazione non sorprende perché l’abbiamo già vista in Siria: al sorgere le proteste del 2011 contro il governo di Assad erano pacifiche, proprio come quelle per Mahsa Amini all’inizio lo erano. Queste, però, sono andate trasformandosi in vere e proprie rivolte armate: una notizia di pochi giorni fa riporta che la polizia iraniana ha sequestrato 600 armi di contrabbando; non stiamo parlando di semplice opposizione al governo, ma si tratta di un vero e proprio tentativo per destabilizzare un paese sovrano che tenta di mantenere la propria indipendenza anche da un punto di vista politico – geopolitico. Ciò, ovviamente, infastidisce l’elite mondialista guerrafondaia.

Avevi scritto sui social qualcosa inerente al tuo non gradimento per la posizione assunta da Amnesty International riguardo alla morte di Masha Amini…

L’errore sta nel riprendere la versione dei media mainstream per quanto riguarda Mahsa Amini; non è un caso isolato perché Amnesty International ha “puntato” varie volte l’Iran. Diffondono unicamente quanto sostenuto dall’elite mondialiste, non è un’organizzazione imparziale. Hanno tenuto la stessa condotta in Siria: hanno sostenuto le battaglie dei ribelli moderati, hanno accusato Assad di violazioni dei diritti umani basandosi su quanto sostenuto da associazioni, pseudo Ong, che spesso non hanno un reale contatto con il territorio (quella siriana, ad esempio, ha sede a Londra).
Anche nel caso dell’Iran viene data per “buona” la versione di Ong che certo non si possono definire imparziali. Molte di queste organizzazioni sono finanziate da gruppi e da stati europei, quindi non definibili come “amici” dell’Iran; è quindi ovvio che non possano dare una visione imparziale di quanto sta avvenendo nel paese. I disastri perpetrati in Siria, l’invasione dell’Afghanistan, dell’Iraq: come si può pensare che questa rappresentazione della realtà possa essere in qualche modo di “beneficio” ai popoli del Medioriente?
Tutta questa propaganda sponsorizzata da pseudo associazioni per i diritti umani, come Amnesty International, e da media mainstream, non ha fatto altro che portare distruzione e destabilizzazione in Medioriente. Pensiamo inoltre al disastro che stanno compiendo le Ong sulla questione migratoria.
Non voglio sostenere che bisogna approvare tutto ciò che “dice” o “fa” l’Iran, è ovviamente lecito mettere in dubbio la versione del governo: non condivido, ma lo rispetto. C’è, però, una differenza fondamentale tra il ruolo che ha avuto fino ad ora l’informazione iraniana, che ha perseguito lo scopo di raggiungere una certa stabilità in Medioriente, e quello che è stato il ruolo destabilizzante e distruttivo della propaganda mediatica.
L’Iran si è speso contro il terrorismo, ha lottato contro i gruppi estremisti, ha cercato di creare una situazione, seppur fragile, di equilibrio in Siria, in Iraq, in Afghanistan, mentre i gruppi finanziati/sostenuti dall’Occidente e dagli Stati Uniti, anche con la presenza in loco, non hanno fatto altro che creare destabilizzazione e crisi; associazioni ed Ong hanno avuto un ruolo di sostegno a ciò.

Per mano dei manifestanti è morto un ragazzo, Arman Ali Vardi?

Questo ragazzo era uno studente del seminario, era anche un Basij. È stato sequestrato e torturato da un gruppo di rivoltosi a Teheran: a seguito delle ferite è andato in coma per tre giorni e successivamente è morto. Hanno tentato di obbligarlo ad offendere la religione e la guida suprema, a causa del suo rifiuto è stato pestato. Non sono illazioni, c’è un video che mostra l’accaduto: questi registrano le proprie azioni perché la propaganda vuole che queste proteste arrivino a diventare violente e distruttive. Gli account dei dissidenti su twitter incoraggiano i manifestanti a prendere iniziative contro la polizia.
L’aggressione a questo ragazzo non è un caso isolato, molti componenti della polizia hanno subito attacchi.
Questo sostegno che i canali mediatici stanno fornendo ai rivoltosi violenti mi ricorda fortemente l’apporto dato ai ribelli moderati siriani, la dinamica è simile. Anche in Siria la maggior parte del popolo sosteneva all’epoca Assad, ciò trova conferma nelle ultimissime elezioni che si sono svolte in cui è stato rinnovato l’incarico al governo.

A proposito di politica mondiale, noi sappiamo che la canzone “Bella Ciao” è stata cantata in persiano…

È curiosocome “Bella Ciao” sia diventato l’inno di protesta di praticamente tutti i gruppi sostenuti dall’elite monidialista: i curdi, i ribelli moderati siriani, a sostegno Ucraina. Personalmente lo identifico come un tentativo propagandistico: si associano determinati slogan, immagini, canzoni a quelle che sono battaglie care a queste “elite mondialiste”.
Il gesto di tagliarsi le ciocche di capelli è solo l’ultimo: tornando alla Siria, ricordando il momento in cui si parlava di bombardamenti chimici perpetrati da Bashar Al Assad, i nostri “vip” facevano il gesto di mettere la mano sulla bocca; un’altra gestualità è quella di inginocchiarsi a sostegno della causa Black Lives Matter; sono pose e canzoni che vengono diffusi per scopi di propaganda mediatica e tutte queste lotte/battaglie vanno a finire sotto un’unica “bandiera”: la bandiera ipocrita della democrazia, della libertà e dei diritti umani però solo quando è interesse dell’elite mondialiste. Gli alleati bisogna “lasciarli stare”: in Arabia Saudita e negli altri Paesi del Golfo le elezioni sono una presa in giro. Questo dimostra l’ipocrisia nelle lotte a sostegno dei diritti, esiste un “doppio standard” nella propaganda mediatica.

Per quanto riguarda le manifestazioni, quelle inizialmente pacifiche, cosa chiedono effettivamente? Non si può credere che il mondo sia “appeso ad un pezzo di stoffa”. Se da domani le donne potessero indossare liberamente una minigonna e senza velo il problema potrebbe dirsi concluso?

Le manifestazioni non sono divise in maniera generazionale, nelle manifestazioni a sostegno del governo si trovano numerosi giovani.
A mio avviso questo non è il problema principale: purtroppo anche in Iran, soprattutto fra i giovani, c’è una forte influenza della propaganda mediatica mondialista. I giovani hanno quell’ideale, purtroppo diffuso anche in Europa, di un mondo stereotipato dove ognuno può fare quello che vuole. Sono tutti quei temi su cui fa pressione la propaganda mediatica: la questione climatica, il falso slogan della pace in Ucraina con annesso invio di armi.
I giovani influenzati pensano, erroneamente, che il modello ideale sia quello di una vita libera come in Europa; noi che siamo nel vecchio continente sappiamo che questa libertà è condizionata al “pensare come loro”, quando ti opponi a certe “ricette” vieni limitato.
Viene proposto che l’Iran si trasformi e diventi come l’Europa, definirei ciò come una propaganda progressista perché pensano che questo sia il modello da seguire; sappiamo, però, che questo schema non ha portato molti benefici.
Il “modello progressista” non è neanche autoctono, il modello europeo è quello identitario dove il popolo è legato alla sua cultura e tradizioni. Il progressismo è stato importato dagli Stati Uniti: un melting pot di culture dove non si capisce più nulla, dove tutti devono mangiare – pesare – credere – vivere allo stesso modo. Anche in questo caso è interessante la contraddizione nel modo di pensare progressista e mondialista: da una parte si esaltano le differenze con annesso rispetto delle altre culture, dall’altra parte, però, vogliono che tutti diventino “uguali”.

Se i manifestanti antigovernativi dovessero vincere a cosa vorrebbero arrivare?

Sono convinta che non lo sappiano neanche loro, non hanno le idee chiare. Al di là del codice d’abbagliamento, c’è la questione delle riforme economiche per cui alcuni pensano che se si avesse un approccio più “morbido” nei confronti dell’Occidente e dell’Europa, ad esempio giungendo ad un nuovo accordo nucleare, migliorerebbe la situazione economica.
Purtroppo questo, nei fatti, si è dimostrato un fallimento: c’è stato un accordo sul nucleare nel 2015, ma è stato stracciato dagli Stati Uniti. Ci sono ancora gruppi politici in Iran che non hanno imparato da questa esperienza e pensano che con un approccio più assertivo potrebbe migliorare la situazione economica. Le sanzioni pesano fortemente sul popolo.
Per quanto concerne il codice di abbigliamento, non è una questione così semplice da definire: non doversi più coprire i capelli basterà? Oppure bisognerà arrivare a quella permissività che c’è oggi in Occidente?

La maggioranza delle donne iraniane vuole delle norme sul codice di abbigliamento che prevedano di coprirsi anche il capo?

Come spesso sottolineo in tutti gli Stati vigono delle norme sul codice di abbigliamento, non è che una persona una mattina possa svegliarsi e decidere di essere libera di uscire in mutande o nudo. Tuttavia ci sono differenze riguardo a quali debbano essere i limiti alla libertà degli individui di vestirsi (o svestirsi); queste divergenze sono dovute a vari fattori, tra cui l’identità culturale e religiosa di un popolo.
Il sostegno popolare alla legge iraniana sul codice di abbigliamento è stato ribadito in un sondaggio nazionale del 2014 che ha raccolto dati da tutte le province del Paese: più del 53% della popolazione era d’accordo con la legge, il 25% era neutrale e solo il 22% si diceva contrario.

di Arianne Ghersi

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