Greta Thumberg La brand ambassador della demagogia eco-chic

Una vera figlia di Svezia

L’inizio della storia

Trecce bionde, impermeabile giallo, sguardo imbronciato. Se aggiungiamo anche un nome, Greta, l’associazione mentale è istantanea, perché ormai tutti, ma proprio tutti sulla faccia della terra, hanno visto almeno un migliaio di volte le immagini della ragazzina che ha osato sfidare i potenti, candidata al Nobel per la Pace e, manco a dirlo, una delle donne più potenti al mondo, secondo Forbes. A sentire i negazionisti, dietro Greta le teorie del complotto sarebbero innumerevoli: massoneria, poteri forti, cabale finanziarie. Classe 2003, figlia di una cantante lirica e di un attore, Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg è diventata un fenomeno globale quando di anni ne aveva appena 15, iniziando uno sciopero scolastico per chiedere al governo svedese di rispettare l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. All’inizio era da sola, supportata solo dai genitori, poi la sua protesta è diventata virale. Tanto che, dopo pochi mesi, prende parte alla Cop24, la ventiquattresima conferenza sul clima a Katovice, in Polonia, in cui ha tenuto un discorso che ha fatto il giro del mondo.

Il team

Secondo Andreas Henriksson, giornalista d’inchiesta svedese, c’è chi sull’immagine di questa ragazza ci ha marciato e lo sciopero scolastico altro non era che parte di una strategia pubblicitaria più ampia. Nell’agosto 2018, quando Greta aveva iniziato il suo sciopero, Ingmar Rentzhog, esperto di marketing e pubblicità, la incontra di fronte al Parlamento svedese e pubblica un post commovente sulla sua pagina Facebook. Rentzhog è il presidente del think tank svedese Global Utmaning (Sfida globale), fondato e finanziato dall’ex ministro socialdemocratico svedese Kristina Persson e animatore della piattaforma informatica “We dont have time”, il grande strumento di pressione sull’opinione pubblica internazionale che ha lanciato Greta. Kristina Persson, ministro per le Strategie Future e per la Cooperazione Nordica dal 2014 al 2016, figlia del magnate svedese Sven Olof Persson, durante il suo mandato ha rappresentato l’ambizione svedese a diventare il primo paese al mondo fossil-free. L’amministratore delegato della piattaforma informatica We dont have time, David Olsson, ha creato uno dei più grandi fondi immobiliari svedesi, lo Svenska Bostadsfonden. Importante è il ruolo dell’attivista ambientalista svedese Bo Thorén, fondatore di Fossil Free Dalsland, un movimento ambientalista schierato contro l’uso dei fossili. L’ufficio stampa di Greta è gestito da Daniel Donner, responsabile della European Climate Foundation, con sede a Bruxelles. Il fenomeno Greta, dunque, coinvolgerebbe il mondo borghese che ha in mano le industrie svedesi, grandi lobby dell’energia verde, professionisti della pubblicità e della comunicazione, il think tank di un ricco ex ministro socialdemocratico svedese – vicino alle più importanti società energetiche del Paese- e le élite del movimento ecologista che hanno reso la Svezia la capostipite della battaglia ecologica. Tutta gente che si sta preparando per la più grande ondata di contratti governativi della storia, ovvero la transizione green delle economie occidentali. Greta, la nuova messia del Verbo eco-chic, è solo il volto di una precisa strategia politica e non poteva che nascere in Svezia, “la società del futuro”.

Una storia che viene da lontano

Per capire davvero cosa ci sia dietro, si deve risalire agli anni Settanta, quando il primo ministro Olof Palme -assassinato nel 1986- ha una visione: imporre all’attenzione del mondo le tematiche ambientali. Il 5 giugno 1972, proprio a Stoccolma, si tiene la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente: “Una sola terra” è la parola d’ordine. Da quel momento la Svezia è divenuta un mondo che attraversa la storia su una propria orbita, diversa, ma destinata a influenzare tutti gli altri, diventando l’icona della felicità verde. L’ambientalismo svedese prende vigore in quel mito di benessere sociale la cui regia è affidata alla collettività, mai all’individuo e soprattutto mai all’occidente: “La colpa della civiltà occidentale è grande” – dichiara Palme nel 1973. Tre anni dopo il summit sul clima, la Svezia è il primo paese al mondo a dare a tutti i suoi cittadini un ambiente fisico ottimale e uguale: a partire dal 1976, le classi sociali sono letteralmente livellate. Palme denuncia gli Stati Uniti per la sua politica di “ecocidio”, coniando un altro termine oggi così popolare. In Svezia l’ecologismo è diventato una “religione civile”, lo stesso paese che da anni ha visto scomparire ogni traccia del cristianesimo dalla vita pubblica. Ma per costruire un messia è necessario che gli eretici, il dissenso, il minimo scetticismo, siano messi a tacere. È il lato oscuro della Svezia, come lo ha raccontato Kajsa Norman nel suo libro Swedens dark soul. I primi tentativi consapevoli di forgiare il conformismo avvennero negli anni Trenta: la nuova leadership si proponeva di portare milioni di persone fuori dalla povertà e di mettere insieme politiche sociali necessarie per plasmare un nuovo paese moderno. Gunnar e Alva Myrdal, i più importanti ingegneri sociali della Svezia, hanno influenzato molte delle nuove politiche. Viene determinato “il modo giusto” per fare le cose, fino ai dettagli di quanto spesso arieggiare la casa o come decorare lo spazio abitativo – in svedese si dice Lagom- ma ci sono anche aspetti più sinistri dell’ingegneria sociale, come gli sforzi per eliminare l’inferiorità fisica e psicologica all’interno della popolazione. Tra il 1935 e il 1975, oltre 60mila persone furono sterilizzate con vari gradi di coercizione. Negli anni ‘60, la televisione controllata dallo Stato si assume il compito, precedentemente svolto dagli ingegneri sociali, di razionalizzare le opinioni e le abitudini: i video didattici insegnavano ai cittadini il modo giusto di fare le cose, come la routine mattutina. Nonostante la Svezia vanti la stampa libera più antica al mondo, oggi sembra che la società sia basata su un consenso assoluto: in Svezia esiste solo una verità “oggettiva”, una sola risposta “giusta” a qualsiasi domanda, un atteggiamento che serve a bandire l’opposizione e in cui ogni errore va messo a tacere, in cui il critico diventa un eretico e va neutralizzato o evitato. Gli svedesi tendono a pensare a se stessi come un modello per altre nazioni, spesso senza comprendere che i valori culturali della Svezia sono piuttosto estremi rispetto al resto del mondo. Per realizzare questa grande visione si impiegano tattiche di populismo estremo, come la strumentalizzazione di dolci bambinette in protesta davanti al Riksdag.

di Michela Di Gaspare

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