Cure e priorità

Cure e priorità

Il Sistema Sanitario Nazionale in difficoltà

Dalla crisi finanziaria del 2008, la spesa pubblica per la Sanità è stata lungamente (troppo) contenuta, con il fine dichiarato di bilanciare la capacità di risposta ai bisogni di salute, con le esigenze di riduzione del debito pubblico. La pandemia da Covid-19 ha però evidenziato quanto, i tagli effettuati, abbiano creato profonde lacune nel Sistema assistenziale e di emergenza sanitaria nazionale. I dati del Ministero della Salute indicano che tra il 2010 e il 2019:

  • i posti letto fra strutture pubbliche e private convenzionate con il SSN sono scesi del 13,7% in termini assoluti e del 15,5% in rapporto alla popolazione;
  • sono stati chiusi 173 ospedali, ben il 15%. Nel 2010 tra pubblici e privati erano 1.165 mentre nel 2019 sono scesi a 992, con un taglio più marcato per quelli pubblici;
  • le risorse umane sono scese di 42.380 unità (-6,5%). Nello specifico 5.132 medici in meno (erano 107.448 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 102.316) e 7.374 infermieri in meno (erano 263.803 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 256.429).

La sindemia

Considerando tali presupposti, la pandemia da Covid-19 si è trasformata in “sindemia” cioè “l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili”. Questa “sindemia” – come era prevedibile – ha impattato pesantemente sulle fasce deboli della popolazione ed ha ulteriormente messo in evidenza i problemi strutturali e organizzativi dei Servizi Sanitari Regionali e del SSN nel suo insieme.

I poveri non si curano e non fanno adeguata prevenzione

Si sono registrati – come denunciato da tutte le Società Scientifiche che rappresentano le categorie Sanitarie – una riduzione delle cure per tre fattori:

  • netta riduzione dei reparti, già insufficienti, relativamente al numero dei posti letto e della carenza di personale, causa trasformazione in reparti Covid;
  • netta riduzione delle possibilità di usufruire delle visite ambulatoriali di controllo specialistiche, per impegno delle poche risorse mediche, impegnate presso centri Hub vaccinali e reparti Covid;
  • mancanza di prevenzione, con il ricorso a visite specialistiche a pagamento, meno accessibili alle classi meno abbienti.

In generale, secondo dati provenienti dall’analisi del ministero della salute nel 2020, ci sono stati:

1.000.301.134 ricoveri in meno, di cui 554123 urgenti e 747011 ordinari con una netta riduzione rispetto all’anno precedente del 17%.

 

Nel 2021 la situazione è notevolmente peggiorata, soprattutto per i più poveri che non potevano rivolgersi all’assistenza sanitaria privata a pagamento. Per questo motivo, tutti i tipi di patologie, da quelle cardiologiche a quelle respiratorie e tumorali, sono state trascurate in ambito di prevenzione e alcune volte anche interventistico.

Il dato eclatante è che le prestazioni ambulatoriali sono diminuite tra 2019 il 2020 di 144,5 milioni (dati Gimbe e Ministero della Salute), eppure non sono diminuiti coloro i quali soffrono delle patologie che hanno necessità delle prestazioni in questione.

L’impatto sulla salute mentale

Da non sottovalutare anche l’impatto della pandemia sulla salute mentale, per cui si sta prendendo atto di un notevole aumento delle domande di intervento psicosociale, che andrà ulteriormente implementandosi nei prossimi anni. Si è registrato, infatti, una forte richiesta di assistenza in tale settore, in particolare tra gli operatori sanitari e gli studenti, le persone che versano in condizioni disagiate e i lavoratori i cui i mezzi di sussistenza sono stati minacciati. Oltre che dai pazienti affetti da Covid-19 (compresi i loro familiari).
Gli studi su pazienti colpiti da disaggio psicologico post Covid-19 hanno stabilito che i disturbi più importanti sono: stress, depressione, irritabilità, attacchi di panico, confusione mentale, senso di solitudine.

La “povera” sanità italiana

La “sindemia” ha portato al peggioramento dello stato di salute per la popolazione generale, evidenziato anche dalla diminuzione della speranza di vita, scesa in Italia da 83,6 anni nel 2019 a 82,4 anni nel 2020 (dati Ministero della Salute ) e ulteriormente in fase di decrescita.
Secondo dati forniti dal “Il sole 24 ore” il nostro paese spende solo l’8% del suo PIL per la Sanità, a differenza di paesi come Francia e Germania che superano l’11%. Vuol dire che la Francia per la salute per i suoi 67 milioni di cittadini, nel 2020, ha speso circa 280 miliardi di euro (circa 4200 euro a cittadino), la Germania per i suoi 83 milioni ne ha spesi 340 miliardi (circa 4100 euro a cittadino), mentre noi per i nostri 61 milioni ne abbiamo spesi circa 184 (circa 3000 euro a cittadino).

La cura per la Sanità

I decisori politici e portatori di interessi debbono, con immediatezza, dopo un attenta analisi di tecnici di settore, intervenire con un piano “Marshall” di ricostruzione, per riportare al centro dell’ attenzione la Salute del cittadino e per il recupero della dei ritardi accumulati negli screening, nelle visite programmate, in quelle di follow up che prevedano i seguenti correttivi:

  • Piano di modernizzazione degli ospedali, la cui vita media ha superato ogni limite plausibile, rendendoli spesso inadeguati ad ospitare le nuove tecnologie, con particolare attenzione agli ospedali del Sud che sono ormai, non più all’altezza di fornire servizi di qualità e di eccellenza per l’inadeguatezza delle strutture, nonostante gli immensi sforzi del personale sanitario;
  • Favorire e implementare – ove già esistano – percorsi e connessioni, tra ospedale e territorio, reti e interconnessioni che devono essere integrate e diversificate tra sezioni sanitarie e sociali sfruttando la telemedicina;
  • Uniformità nei sistemi di emergenza-urgenza 118-112, sia in attività ordinaria che nelle “macro-maxiemergenze” in tutte le 20 regioni italiane, con protocolli, procedure, linee guida, risorse umane e strutturali e capacità di risposta identiche rispetto alla popolazione da proteggere nel territorio di competenza;
  • Rivisitazione dei piani di formazione universitari e addestramento dei diversi settori che operano nell’ambito sanitario, con particolare attenzione all’emergenza-urgenza;
  • Rivisitazione dei ruoli, funzioni, compiti e formazione dei medici di medicina generale, nella Medicina Territoriale (medici di famiglia e di continuità assistenziale) con un passaggio alla dirigenza medica pubblica;
  • Implementazioni delle risorse umane (medici – infermieri – personale sanitario in generale) con rapido espletamento di concorsi per nuove assunzioni, in base alle reali esigenze del paese, con l’abolizione del precariato;
  • Aumento nei concorsi di accesso del numero dei potenziali iscritti alla facoltà di Medicina e Scienze infermieristiche e delle diverse specializzazioni in base alle reali esigenze;
  • Aumenti stipendiali per il personale sanitario pubblico, con ulteriori incentivi per chi opera nell’emergenza-urgenza, al fine di evitare il flusso verso Stati esteri dove i compensi sono triplicati;
  • Monitoraggio e vigilanza sull’applicazione corretta delle normative già operative e attive come quelle sul risk management, sulla qualità dei servizi e il loro accreditamento, sui piani pandemici e di maxiemergenza, sulla responsabilità professionale (legge 8 marzo 2017 n 24) e quelle relative all’Ospedale e Territorio senza dolore (legge 38 /2010).

In conclusione alla luce delle evidenze e dei dati riscontrati, è indispensabile passare dalle parole ai fatti e tutti, dai politici ai portatori di interessi, agli addetti ai lavori, debbono cooperare per un reale cambiamento della Sanità in Italia, per farla tornare ai primi posti nel mondo, come lo era 10/20 anni addietro e per mettere il cittadino comune al centro del “sistema”, tutelandolo realmente dai rischi della salute compresi quelli della pandemia.
Occorre ripartire per dare una risposta di sistema che riveda il SSN, profondamente rinnovato e sostenibile. Serve un coordinamento nazionale e UE delle Policy di contrasto alle pandemie.
La Salute pertanto deve essere vista come “precondizione per uno sviluppo sostenibile ed equo” proprio per tutelare in particolare i meno abbienti, combattendo le enormi disparità sociali create dalle diseguaglianze di reddito che hanno creato, oltre alla crescita della povertà diffusa, anche differenze nell’accesso alle cure.

 

di Pietro Pugliese

Dr. Pietro Pugliese
(Visiting Professor, Medico specializzato in Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore – Medicina Aeronautica e Spaziale)

 

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