Lo sparatore sono io

INFORMAZIONE REDAZIONALE.

E’ il 17 Dicembre 1973 all’aeroporto intercontinentale di Roma-Fiumicino, quando un commandos di terroristi – appartenenti al gruppo d’ispirazione marxista e braccio armato ultraviolento dell’OLP di Arafat – fa una strage. Dopo l’attentato di Bologna, è la seconda strage della storia Repubblicana per numero di vittime: 32 morti e 15 feriti. Pochi la ricordano, pochissimi commemorano le vittime, una di queste è il giovane finanziere Antonio Zara, medaglia d’oro al Valor Militare nel 1974 ma Medaglia d’oro di vittima del terrorismo solo nel 2010.
Questa di Fiumicino, fa parte di quelle stragi che “possono” essere dimenticate perché attualmente l’Italia ne deve ricordare solo una parte e soprattutto, perché all’epoca aveva scelto un “approccio morbido” al terrorismo palestinese: niente contrasto in cambio di libero passaggio dei terroristi.
Questo libro scritto a più mani (A. Campanile, Nuccio Ferraro e Francesco Di Bartolomei) la racconta tramite i ricordi di Antonio Campanile, all’epoca dei fatti, giovane Guardia di Pubblica Sicurezza che, accortosi del pericolo, si è sdraiato su un tetto e ha fatto quello che prevedeva la legge e la sua coscienza ma probabilmente non gli “ordini”. Come afferma lo stesso protagonista in un’intervista: “Lasciarli compiere un ulteriore massacro era inconcepibile, quelli si erano impadroniti dell’aeroporto e noi eravamo appostati sui tetti con le armi in mano a guardarli mentre sparavano all’impazzata, quando vidi assassinare a sangue freddo il finanziere Antonio Zara – che era pure un caro amico che lo incontravo tutti i giorni in servizio a Fiumicino – ho capito che quell’ordine di non sparare era assurdo e ho sparato stando bene attento a non colpire la fusoliera dell’aereo della Lufthansa; così ho fatto in modo che i terroristi decidessero di smetterla con quel Far West e si imbarcassero sul volo che poi hanno dirottato su Atene”. Invece di essere promosso, Antonio Campanile, giovane servitore dello Stato, è stato segregato in Caserma e messo nel dimenticatoio. Un altro appartenente alla Polizia di Stato (ora in pensione), la cui intervista è presente integralmente nel libro, afferma: “Antonio fu punito. La motivazione che girava a titolo di voce nei corridoi, era che aveva disubbidito agli ordini, sparando all’aereo”.
Punito e nascosto per interessi politico – economici superiori, Antonio Campanile ha deciso di dire la sua verità: “Perché troppi altri nel tempo, in tutti questi lunghissimi 47 anni, si sono sentiti in dovere di parlare al posto mio senza sapere ciò di cui parlavano. C’è chi lo ha fatto testimoniando davanti a un noto magistrato e chi si è spacciato per me in televisione. Ma lo “sparatore” di quel giorno come dice il titolo del libro sono e rimango io”.
Quella che si legge in questo libro è una verità difficile, che si perde nelle carte ancora segretate e nei tanti omissis dei protagonisti dell’epoca, unite ad un ricordo che troppo spesso è di parte.
Il Prof. Emerito Francesco Sidoti (Università dell’Aquila) che cura la prefazione del libro scrive: “Dietro la semplice apparenza della rievocazione di un episodio lontano e ingiustamente dimenticato, questo volume è un fragoroso sparo nel buio della più stretta attualità, alla fine del 2020. Infatti, insieme alla contestazione della disinformazione in merito alla strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973, è in clamorosa contestazione la politica estera italiana di ieri e di oggi.
Pur essendo interessante e ben scritto, questo libro non ha trovato un editore abbastanza coraggioso da pubblicarlo. Antonio l’ha fatto a sue spese, già questo è un segnale preciso che ci dice che “Lo sparatore sono io” dovrebbe essere letto da chi veramente vuole capire il terrorismo internazionale e la politica italiana di quei tempi.

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