HIV – AIDS

HIV – AIDS

SANITA’

Storia, contagio e nuove cure

Il primo dicembre è la Giornata Mondiale contro l’AIDS

La sindrome da immunodeficienza acquisita in inglese Acquired Immune Deficiency Syndrome, da cui l’acronimo AIDS è una malattia del sistema immunitario umano causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV). La malattia interferisce con il sistema immunitario limitandone l’efficacia, rendendo le persone colpite più suscettibili alle infezioni e allo sviluppo di forme tumorali. Questa vulnerabilità aumenta in modo esponenziale con il progredire della malattia. Il virus e la malattia sono spesso indicati insieme come HIV/AIDS. In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: HIV-1 e HIV-2. Il primo dei due è prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. HIV-2, invece, si trova per lo più in Africa occidentale.

Quando e dove è iniziato tutto?

Gli scienziati generalmente accettano che i ceppi noti di HIV-1 e HIV2 siano più strettamente correlati ai virus dell’immunodeficienza delle scimmie (SIV), endemici nelle popolazioni di scimmie selvatiche delle foreste dell’Africa centro-occidentale e orientale. Come accennato il SIV è un virus molto simile a quello dell’HIV ma molto più antico. Si stima infatti che abbia avuto origine 32 mila di anni fa e che oggi infetti 45 specie di primati. Due specie fra queste sarebbero poi all’origine dei due sottotipi di HIV presenti nell’uomo. Una importante differenza da sottolineare è che mentre l’HIV è fortemente patogeno per l’uomo, l’SIV risulta non esserlo per la maggior parte delle specie. Sappiamo che la storia dell’AIDS ha origini relativamente recenti e che si è diffusa globalmente soltanto negli anni 80. Ancora non si sa come il virus abbia fatto il salto di specie ma l’ipotesi più accreditata è che in realtà l’AIDS sia passato più volte nel corso della storia dalla scimmia all’uomo (motivo per cui esisterebbero più sottogruppi dell’AIDS) ma soltanto con la globalizzazione e l’invenzione dei mezzi di trasporto moderni è divenuto pandemico. Altra ipotesi accreditata recita che il vero e proprio passaggio del virus invece sarebbe dovuto al passaggio di sangue dalle scimmie all’uomo. Questo fenomeno viene spiegato dall’usanza delle tribù africane di nutrirsi con carne di scimmia che non sempre risultava essere ben cotta oppure da possibili morsi e ferite causate da queste.

Una breve storia

Nella primavera del 1981 uno steward gay della compagnia aerea canadese fu colpito da una strana forma di cancro alla pelle, conosciuto come Sarcoma di Kaposi. Successivamente altri cinque omosessuali si ammalarono di un tipo di polmonite assai rara (polmonite da Pneumocystis). Di lì a poco i casi di uomini adulti omosessuali che vivevano in grandi metropoli, quali New York e Los Angeles, si triplicarono. I medici si accorsero che sia la polmonite da Pneumocystis sia il sarcoma di Kaposi erano state riscontrate solo in persone il cui sistema immunitario era danneggiato. Gli studiosi denominarono, pertanto, tale sindrome con la sigla Grid (Gay Related Immuno Deficiency). La circostanza che queste due malattie venissero contratte da giovani, precedentemente in buona salute, fece pensare ad una malattia che avesse danneggiato direttamente il loro sistema immunitario. Come indicherà la stessa sigla, la malattia venne considerata come una forma di immunodeficienza che colpiva i maschi adulti omosessuali. Il fatto che si trattasse di una malattia apparentemente circoscritta alla comunità gay, permise all’amministrazione Reagan di negare i fondi necessari per studiare a fondo il problema. La malattia ebbe la possibilità di diffondersi, colpendo in seguito indiscriminatamente uomini e donne, gay ed eterosessuali. Qualche anno dopo il prof. Montagnier, dell’Istituto Pasteur di Parigi, isolò un virus dalle cellule del sistema linfatico dei soggetti colpiti e lo chiamò LAV; contemporaneamente un’analoga scoperta venne fatta dal gruppo del prof. Robert Gallo negli Stati Uniti: il virus venne chiamato in questo caso HTLV-III. Successivamente si capì che l’HTLV-III ed il LAV erano lo stesso virus al quale venne definitivamente denominato HIV. La Grid cambiò nome: diventò Sida per i francesi e Aids per il resto del mondo.

Trasmissione e prevenzione primaria

HIV è un virus a bassa contagiosità, che per trasmettersi ha bisogno di un’elevata concentrazione di particelle virali vitali. Tale condizione si realizza pressoché esclusivamente nel sangue e nelle secrezioni genitali, in particolare lo sperma; in misura minore, ma comunque sufficiente, nelle secrezioni vaginali. Altre secrezioni contengono HIV, ma a bassa concentrazione e l’esperienza oltre a numerosi studi sperimentali escludono la trasmissibilità tramite tali veicoli, salvo situazioni del tutto eccezionali.

L’HIV si trasmette con trasmissione orizzontale, ad esempio tramite i rapporti sessuali, trasfusioni di sangue contaminato e aghi ipodermici, o con trasmissione verticale, tra madre e bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento al seno.

L’immissione di sangue infetto nel circolo di un soggetto sano genera un’infezione pressoché certa. Questo tipo di contagio è stato molto frequente prima della messa a punto del test HIV, tramite trasfusioni di sangue infetto, trapianti di organi di donatori infetti e accidentali casi di ferimento con strumenti quali rasoi, aghi (anche da tatuaggio) o bisturi appena venuti in contatto con materiale infetto, soprattutto in ambito professionale. L’esclusione sistematica dalle donazioni dei soggetti infetti e la sterilizzazione di tutti gli strumenti che entrano in contatto col sangue ha reso questo tipo di contagio prettamente episodico. Lo scambio di sangue fu inoltre responsabile dell’esplosione dell’epidemia tra tossicodipendenti da eroina, tramite lo scambio di siringhe usate. Tale contagio, legato a pratiche molto diffuse di condivisione della droga e della siringa tra gruppi di giovani in momenti di aggregazione, rappresentò negli anni ottanta la principale forma di contagio in paesi mediterranei quali la Spagna, l’Italia, la Jugoslavia. Il crollo dell’uso dell’eroina nei paesi occidentali ha drasticamente ridotto l’incidenza di questa forma di contagio in tali zone.

Contagio tramite i rapporti sessuali

Il preservativo è un presidio medico contro tutte le malattie sessualmente trasmissibili, compreso l’HIV. Oggi la maggior parte delle nuove infezioni del virus dell’HIV avviene attraverso rapporti sessuali penetrativi non protetti, sia etero che omosessuali.

Le secrezioni genitali possono infatti avere carica virale elevata e la dinamica della penetrazione favorisce la microfessurazione delle mucose genitali, di per sé già congestionate durante l’atto, attraverso le quali il virus può entrare nel circolo dell’individuo sano. Lo sperma è mediamente più infettante delle secrezioni vaginali, perché oltre al virus libero può contenere linfociti infetti; inoltre esso può rimanere anche a lungo a contatto con le mucose vaginali o rettali. La donna diventa più infettante in presenza di sangue mestruale, infezioni o infiammazioni vaginali.

I rapporti anali rappresentano un maggior rischio di contagio, per la maggiore facilità con cui creano microtraumi e per la natura della mucosa rettale, strutturalmente meno idonea a contrastare l’impianto dell’infezione. Lo stesso pene è dotato di mucose che possono presentare ulcere e piaghe dovute ad altri tipi di patologie, e che possono lacerarsi durante i rapporti sessuali entrando in contatto con sangue e secrezioni infette, rendendo rischioso quindi anche il ruolo attivo. L’ispessimento della pelle in seguito alla circoncisione abbassa notevolmente i rischi di tale tipo di contagio.

Il preservativo, impedendo il contatto tra mucose genitali e secrezioni potenzialmente infette, è un presidio sanitario di provata efficacia: il suo uso corretto rende il sesso sicuro e impedisce il contagio da tutte le malattie sessualmente trasmissibili, benché alcuni studiosi tra cui Edward Green abbiano obiettato che, pur con l’uso di preservativi, la gran parte degli sforzi internazionali per contenere la pandemia, in particolare nei paesi emergenti, sarebbe fallita. Il preservativo come mezzo di prevenzione, a parere di costoro, sarebbe poco utile poiché spingerebbe gli individui ad assumere maggiori rischi nei rapporti sessuali generando un falso senso di protezione (atteggiamento definito di “compensazione del rischio” o “disinibizione”).

Le pratiche di sesso non penetrativo non possono essere definite prive di rischi in assoluto, sebbene le segnalazioni di contagio sicuramente attribuibili ad esse siano di eccezionale rarità.

Non esistono dimostrazioni della contagiosità mediante fellatio: esiste sicuramente una plausibilità biologica del contagio, ma l’esperienza medica parla di un rischio ridotto. In ogni caso la pratica può essere rischiosa solo se sperma infetto entra a contatto con ferite, mucose lacerate o ulcerate della bocca. Il rischio è oggettivamente nullo in assenza di contatto con lo sperma o per chi riceve la fellatio, anche se chi la pratica è un sieropositivo contagioso. L’uso del preservativo annulla qualsiasi possibilità di contagio.

Stesse considerazioni valgono per il cunnilingus, anche se non esistono sufficienti casi accertati di contagio attraverso questa pratica sessuale. La minore concentrazione di virus nelle secrezioni vaginali rendono le possibilità di contagio estremamente basse, mentre la presenza di sangue mestruale è invece rischiosa. C’e da sottolineare che in questa pratica, barriere di lattice (come la superficie di un profilattico aperto con un taglio longitudinale) o di pellicola plastica (tipo quella per alimenti) eliminano qualsiasi rischio.

 

Contagio verticale madre-figlio

La trasmissione del virus da madre a figlio può essere una derivazione del contagio sanguigno, in utero attraverso il cordone ombelicale, oppure durante il parto o l’allattamento. Sia il liquido amniotico, sia il latte materno hanno infatti un’alta concentrazione di virus. In assenza di trattamento medico, il tasso di trasmissione tra madre e figlio è del 25%.

Tuttavia, laddove un trattamento medico farmacologico sia effettuato in combinazione con l’effettuazione di un parto cesareo, e con alcune di settimane di terapia farmacologica per il neonato, il rischio è stato ridotto all’1%.

Un sieropositivo che vuole diventare padre con una compagna sieronegativa rischia di infettare la compagna, ma se essa non viene contagiata non c’è pericolo per il nascituro: l’infezione si trasmette infatti solo da madre a figlio e non dal padre. Esistono dei procedimenti per escludere la contagiosità del seme (il cosiddetto “lavaggio dello sperma”) e permettere una fecondazione in tutta sicurezza per la madre.

 Contatti non contagiosi

L’HIV è stato trovato nella saliva, lacrime e urina di individui infetti, ma vista la bassa concentrazione del virus in questi liquidi biologici, il rischio di trasmissione è considerato trascurabile. Lo stesso vale per tosse, sudore, muco e feci.

Il virus non si trasmette tramite contatti come strette di mano, abbracci, baci, morsi, graffi né tramite l’uso di rasoi o spazzolini da denti di persone sieropositive (se privi di tracce ematiche), anche se è comunque sempre consigliabile l’uso di strumenti di igiene personale individuali. Nulla è la possibilità di contagio tramite vestiti, asciugamani, lenzuola, né tramite bicchieri, piatti o posate e in generale in tutti quei rapporti legati dalla convivenza con persone sieropositive.

Le zanzare, da sempre sospettate di essere un possibile veicolo di infezione, in realtà sono sostanzialmente innocue, sia perché il virus non si può replicare all’interno delle ghiandole salivari dell’insetto (trasmissione biologica) sia per via della bassissima probabilità di infezione. La zanzara femmina, dopo aver nutrito le uova nel proprio addome con il sangue aspirato, riposa per circa 24 ore, tempo sufficiente alla scomparsa del virus dall’insetto madre. Anche qualora la zanzara punga due individui in successione di cui il primo sieropositivo, anche se altamente infetto e anche se con ripetute punture, la possibilità di contagio è nulla perché il canale attraverso cui viene iniettata la saliva e quello attraverso il quale viene prelevato il sangue sono due condotti differenti, non in comunicazione tra di loro. Un discorso analogo può essere fatto anche per altri artropodi ematofagi come pulci, zecche e cimici. Le zanzare sono responsabili della trasmissione di altre patologie a eziologia virale come per esempio la febbre gialla ma non dell’HIV.

 Terapie

Anche se i trattamenti per l’HIV/AIDS possono rallentare o arrestare il decorso della malattia, non vi è ancora cura o vaccino contro l’HIV. Il trattamento antiretrovirale riduce sia i morti, sia le nuove infezioni ma questi farmaci sono costosi e non sono disponibili in tutti i paesi. A causa della difficoltà nel trattamento delle infezioni da HIV, la prevenzione è un obiettivo chiave per il controllo dell’AIDS.

In quarant’anni di studi scientifici sull’HIV, i medici e i ricercatori di tutto il mondo sono riusciti in uno sforzo considerevole. I farmaci oggi a disposizione riescono a bloccare la replicazione del virus con successo, al punto da rendere la sua presenza nel sangue non rilevabile e l’aspettativa di vita di un sieropositivo molto vicina a quella di una persona sana. Molto si è già fatto in termini di semplificazione della terapia, mantenendone l’efficacia: se in passato i pazienti dovevano assumere diversi farmaci, diverse volte al giorno, con il rischio di dimenticanze e scarsa efficacia della terapia, ora il loro numero è stato ridotto a una singola pillola quotidiana, nella maggioranza dei casi.

Dal 2020 sono disponibili i primi farmaci long acting per HIV, ovvero farmaci con una lunga emivita (che rimangono cioè in circolo nell’organismo più a lungo prima di essere metabolizzati e smaltiti): due farmaci antiretrovirali chiamati rilpivirina e cabotegravir possono ora essere somministrati con un’iniezione intramuscolo ogni 2 mesi, riducendo ancora di più lo stress dei pazienti e i rischi di errore nelle terapie. Una vera e propria rivoluzione.

Le persone ad alto rischio di contrarre HIV oggi possono scegliere di assumere la profilassi pre-esposizione che consiste in una combinazione di due farmaci anti-retrovirali. Nei paesi in cui viene utilizzata su larga scala ha permesso di ridurre drasticamente i contagi. In Italia purtroppo è ancora poco utilizzata e non rimborsabile. Tale terapia consiste nell’assunzione di una compressa al giorno tutti i giorni, oppure due compresse prima e dopo i rapporti sessuali a rischio. Così facendo si può ridurre di molto il rischio di contrarre il virus dell’HIV (ma non le altre malattie a trasmissione sessuale).

 Il futuro delle Terapie

La scoperta di un vaccino è l’obiettivo di un ingente sforzo di ricerca scientifica volto proteggere gli individui sia che non abbiano contratto HIV, sia di avere un effetto terapeutico per le persone che hanno già contratto l’infezione. Allo stato attuale non esiste un vaccino HIV efficace, ma molti progetti di ricerca stanno effettuando studi clinici per realizzarne uno. Lavorando con anticorpi monoclonali si è dimostrato che il corpo umano può difendersi autonomamente dall’HIV. In particolare, i vaccini candidati che potrebbero indurre una risposta determinano:

  • anticorpi neutralizzanti attivi contro una vasta gamma di HIV isolati primari;
  • risposte delle cellule T citotossiche in una vasta maggioranza dei destinatari;
  • risposte immunitarie date da una mucosa più resistente.

Nel 2011, i ricercatori del Centro Nacional de Biotecnología di Madrid hanno presentato dei dati relativi alla fase I della sperimentazione clinica del loro nuovo vaccino: il MVA-B. Il vaccino è stato efficace nell’indurre una risposta immunologica nel 92% dei soggetti sani.

Teoricamente, ogni possibile vaccino contro l’HIV deve inibire o arrestare il ciclo di replicazione del virione HIV.

I vaccini vivi attenuati hanno molto successo contro la poliomielite, il rotavirus e il morbillo, ma non sono stati testati contro l’HIV nell’uomo. La preoccupazione teorica per la sicurezza ha finora impedito lo sviluppo clinico di un vaccino HIV-1 vivo attenuato. Gli scienziati stanno studiando nuove strategie per sviluppare un vaccino HIV-1 vivo attenuato non virulento. Ad esempio, è stata creata una forma geneticamente modificata di HIV in cui i codoni del virus sono manipolati per fare codificare un amminoacido non conforme per una corretta traduzione delle proteine, che gli consente di replicarsi. Poiché questo amminoacido è estraneo al corpo umano, il virus non può riprodursi. Gli scienziati dello Scripps Research hanno trovato un modo per collegare gli anticorpi anti-HIV alle cellule immunitarie, creando una popolazione cellulare resistente all’HIV.

L’urgenza della ricerca di un vaccino contro l’HIV deriva dalle oltre 25 milioni di morti correlate all’AIDS dal 1981. Infatti, nel 2002, l’AIDS è diventata la prima causa di mortalità dovuto ad un agente infettivo in Africa.

 Dati e pericolosità

La malattia è un importante problema sanitario in molte parti del mondo e la sua diffusione è considerata una pandemia. l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stima che vi siano 33,4 milioni di persone nel mondo che vivono con l’HIV/AIDS, con 2,7 milioni di nuove infezioni HIV all’anno e 2,0 milioni di decessi annuali a causa di AIDS. Secondo il rapporto UNAIDS 2009, in tutto il mondo vi sono state circa 60 milioni di persone contagiate dall’inizio della pandemia, con circa 25 milioni di morti e, nel solo Sudafrica, 14 milioni di bambini orfani.

Ventisei milioni di persone accedono alla terapia antiretrovirale (dato aggiornato al mese di giugno 2020). Al 2019 circa 38 milioni di individui nel mondo convivevano con una diagnosi di positività al virus dell’HIV. Soltanto nel 2019 sono state diagnosticate 1,7 milioni di nuove infezioni da HIV. Dall’inizio dell’epidemia al 2019, circa 75,7 milioni hanno contratto l’AIDS.

Dal 1981 (anno in cui per la prima volta venne identificata la nuova patologia) fino alla fine del 2019, 32,7 milioni di persone sono morte per malattie opportunistiche legate all’AIDS. Le persone con infezione da HIV hanno il doppio delle probabilità di soffrire di malattie cardiache. L’analisi dei dati rivela che le malattie cardiovascolari associate all’HIV sono più che triplicate negli ultimi 20 anni dato che le persone vivono più a lungo con il virus.

L’Africa è oggi il continente più colpito al mondo da questa epidemia: circa il 60% di tutti i soggetti colpiti dalla malattia vive nel continente a fronte del 12% di popolazione mondiale. La difficile condizione economica presente in molti Stati, unita alla diffidenza culturale presente in molti villaggi rurali riguardo i metodi di protezione dalla malattia (come l’utilizzo del profilattico), porta ancora oggi moltissime persone ad infettarsi, finanche a trasmettere la malattia ai propri figli al momento del parto e rende il tasso di mortalità per AIDS in Africa il più alto del mondo.

Secondo gli ultimi dati disponibili nel nostro Paese sono circa 2.500 ogni anno le nuove persone a qui viene diagnosticata l’infezione da HIV, pari a circa 5 nuovi casi ogni 100.000 residenti. Numeri che vanno a sommarsi a una popolazione di oltre 120.000 pazienti già in terapia (38 milioni nel mondo). La maggioranza delle nuove infezioni è nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni.

 Percezione e immobilismo sociale

Allo stato, i medici in grado di tenere sotto controllo la replicazione del virus ma nel nostro paese siamo purtroppo ancora lontani dalla riduzione nel numero di nuovi casi soprattutto perché inizia a mancare la percezione del rischio di rapporti sessuali promiscui e non protetti.

Non solo, i malati di AIDS sono visti con sospetto e riprovazione (perché accusati di un certo “libertinismo”), ancora posti ai margini della società e del sistema sanitario e questa forma di ghettizzazione porta le persone ad avere paura di dichiarare il proprio stato di salute e di effettuare il test, per paura di essere etichettati come persone “promiscue”.

Anche in ambito sanitario esiste un certo pregiudizio e non è infrequente che mentre si accompagna una collega – Operatore Socio Sanitario – ad effettuare il test per l’HIV, dopo che si era punta con un ago in reparto, la prima ipotesi balzata in mente all’infermiere prelevatore è che lei avesse avuto un rapporto sessuale a rischio, probabilmente un po’ troppo promiscuo.

di Mariagiovanna Matteis

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