Cosa c’è dietro la (presunta) truffa sui carburanti

Focus Carburanti

Ne parliamo in una doppia intervista

Lo scorso marzo, abbiamo assistito ad un aumento vertiginoso dei prezzi carburante, con gravi conseguenze sia per i cittadini sia per le imprese. Automobilisti e autotrasportatori hanno pagato la benzina e il gasolio fino a 30/40 centesimi al litro in più. A causa dellaumento del gasolio si sono fermati i pescatori e hanno protestato gli autotrasportatori, mentre laumento del gas ha portato allo stop per diverse fabbriche in tutto il Paese. Le dichiarazioni del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani in merito agli «aumenti irragionevoli» dei prezzi dei carburanti, che lo hanno indotto a parlare di una «colossale truffa in atto», hanno comprensibilmente suscitato un vespaio di reazioni e indotto la Procura di Roma ad aprire unindagine. A conferma e conforto, un intervento dall’alto è arrivato, con un sacrificio di 25 centesimi sulle accise, prorogato fino al prossimo 8 luglio. C’è da capire chi è il colpevole e chi può abbassare i prezzi. Dal canto nostro, abbiamo cercato di capire i meccanismi che portano alla formazione del prezzo alla pompa, tra chi si occupa di scenari energetici.

La parola al Prof. Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle risorse energetiche all’Università di Torino con una esperienza decennale come manager di Eni e Lukoil e amministratore delegato della Centrex Europe dal 2009 al 2014.

Lo scorso marzo, il Ministro Cingolani parlava di un «aumento del prezzo dei carburanti ingiustificato» Chi e perché ha causato questo picco?

Guardando l’andamento dei prezzi, negli ultimi 12 mesi il gas TTF è cresciuto di circa 500-600 volte e il petrolio è raddoppiato. Guardando l’andamento dei prezzi dell’anno scorso, la prima volta che il gas è sestuplicato dall’inizio dell’anno è stato verso il 20 dicembre, quando nessuno pensava che ci sarebbe stata la guerra. Semplicemente lo scorso anno c’è stata una tempesta perfetta che in qualche modo ha reso particolarmente corta l’offerta di gas. Su questa offerta corta si è scatenata, per problemi di stoccaggio e di funzionamento una specie di duello all’ultima nave di GNL tra compratori asiatici e mercato europeo. Fine.

Quanto incidono le fluttuazioni del mercato sul prezzo finale del carburante?

C’è un mercato che fa il prezzo sull’ultimo prezzo marginale, ci sono dei meccanismi di indicizzazione che fanno sì che i contratti di long-term seguano gli andamenti delle compravendite spot.

Già nel corso del 2021 il prezzo carburante era in salita. È la guerra in Ucraina la vera responsabile?

La guerra in Ucraina è nata in una situazione di crisi del mercato del gas già evidente. Che poi possa approfondirla e allungarla nel tempo non c’è dubbio, però il problema era un problema di mercato.

L’emergenza covid e i relativi lockdown hanno influito in qualche modo?

Probabilmente hanno rallentato la capacità della domanda di mettersi a pari con l’offerta che ripartiva. L’anno scorso c’è stata una eccezionale siccità in Brasile, e il Brasile va molto a idroelettrico, e l’unico modo per ovviare alla mancanza di idroelettrico era importare gas. Sempre lo scorso anno, l’eolico nel Mare del Nord ha prodotto molto al di sotto di quelle che erano le previsioni per carenza di vento e anche quello lo si è dovuto sostituire con il gas. I cinesi si sono messi a fare i cinesi più che prima del covid e dall’altra parte ci sono state una serie di strozzature dal lato dell’offerta per ritardi manutentivi e una serie di altre cose, compreso il fatto che i russi hanno tolto il gas spot dal mercato.

Sempre lo scorso marzo, Carlo Cottarelli scriveva di un divario profondo tra i costi dell’importazione del gas e le quotazioni sul mercato Ttf di Amsterdam, attribuendolo ai contratti a lungo termine. Come stanno le cose?

Partiamo subito dicendo che i contratti a prezzi fissi sono una leggenda metropolitana. Non esiste un contratto di lungo termine che non sia indicizzato. Dopodiché, ci sono diversi metodi di indicizzazione: una volta si indicizzava tutto sull’andamento del petrolio e dei suoi prodotti, adesso moltissimo è indicizzato all’andamento del prezzo del gas, ossia al mutamento del TTF o di similari. Se si cavalcava un contratto indicizzato a petrolio -in realtà la maggior parte sono misti – fondamentalmente la sua rivalutazione l’anno scorso, negli ultimi dodici mesi, sarebbe stata di un quinto rispetto al suo competitor che invece lo indicizzava al gas. È questo che può creare dei divari. Aggiungo, inoltre, che se si guarda quello che è successo sul serio, i soldi li hanno fatti i produttori e non gli importatori. Il 95% del risultato Eni è prodotto all’estero, perfettamente in linea ai risultati di Shell, BP e tutte le altre major petrolifere che fanno esplorazione e produzione.

Chi e come può abbassare questi prezzi?

Oggi vediamo un abbassamento dei prezzi di natura politica, ma è fondamentalmente un sussidio al consumo, nel senso che lo Stato non si fa pagare le tasse. Ad un certo punto diventa un problemino di non poco conto perché con la tassazione degli oli minerali, senza il gas, lo Stato Italiano si portava a casa 26 miliardi l’anno. Un altro tema è come possa abbassarsi il prezzo sui mercati internazionali, possibile solo se aumenta l’offerta, ma con la scarsità di nuovi progetti che stanno arrivando a maturità, dovuta al fatto che non si investe praticamente più a Occidente in nuovi progetti di esplorazione e produzione, un allargamento dell’offerta non mi sembra potrà essere clamoroso. Oppure diminuisce la domanda, ma come vede il petrolio è declinato. Poi se si vogliono cambiare strutturalmente i mercati, bisogna cambiare la struttura della domanda, ma prima che le auto elettriche incidano sui consumi petroliferi ci vorrà qualche anno, sicuramente non è una cosa che vedremo questo inverno!

Accise, iva, iva sulle accise. Quanto pesano le tasse sul prezzo finale?

Prima che i prezzi salissero al cielo, in Italia la componente fiscale sulle benzine si aggirava intorno al 60% del suo prezzo finale. Non mi faccia dire 58,7%! 40 centesimi finivano a produttori, trasportatori, raffinerie e distributori e 60 centesimi allo Stato.

Il taglio delle accise è stato prorogato fino al prossimo 8 luglio. Dopo cosa succederà? Cosa dobbiamo aspettarci per l’estate?

Ci sono troppe variabili che potrebbero intervenire! C’è un tema di Governo, che poi è un tema di redistribuzione sociale dei costi, quello che deve riuscire a fare adesso è difendere le famiglie dalla povertà energetica e il sistema produttivo dal collasso.

Quanto tempo richiede la definitiva emancipazione dalle fonti fossili? E quale politica energetica realistica potremmo adottare nel breve e medio periodo?

Secondo gli scenari più ottimistici di proiezione, nel 2050, anche al raggiungimento di Net Zero, qualche barile gira ancora. Quando si cambia la fonte bisogna cambiare anche le infrastrutture, faccio un esempio molto banale: io non credo che sentendosi motivata dalla lotta al riscaldamento globale, la famiglia media italiana domani mattina cacci i soldi per cambiare il forno di casa, i boiler a gas, oppure l’auto, se non ha neanche una rete per andarla a caricare. Non è un processo istantaneo, non è semplice, al contrario è piuttosto complesso. Siamo un mondo di circa 8 miliardi di persone, con circa 4-5 miliardi di forni da cambiare! Quello che possiamo fare oggi è solo cercare di capire quante rinnovabili si riescono ad avere e in che tempi, tenendo sempre a mente che le rinnovabili non saranno mai interamente sostitutive dei fossili, poi bisogna lavorare sia in termini di ricerca dei capitali, sia in tema di impulso tecnologico alla decarbonizzazione di tutti quei settori cui non si può provvedere semplicemente attraverso elettricità e quindi attraverso generazione rinnovabile. Magari l’idrogeno aiuterà, però se lo vogliamo tutto verde le tempistiche sono molto lunghe.
Alla fine il tema è molto semplice, semplice da enunciare, difficilissimo da praticare: nulla succede senza sostegno statale. Se questo processo lo si lascia al mercato succede poco o niente perché ha bisogno di una quantità di capitali spaventosi e stranamente i capitali si trovano solo quando si garantisce il rendimento. Questo intendo come sostegno statale, oltre che il sussidio diretto. Rispetto a risorse scarse, ci si ritrova a dover affrontare dei problemi di priorità di allocazione delle risorse pubbliche. Cos’è che mi rende di più in tempi più brevi rispetto alle tecniche di decarbonizzazione? Bisogna cominciare da lì, perché con i nostri processi autorizzativi il mutamento delle fonti ce lo scordiamo! Stiamo parlando di un Paese che ci metteva 10-15 anni ad autorizzare un impianto.  Attenzione: lo Stato è già plurimpegnato in questo, in termini di accelerazione dei tempi di autorizzazione si sta già facendo qualcosa, ma se mantenevamo i progetti passati avendo sulle spalle la mannaia del titolo V, parlare di transizione energetica equivaleva a filosofeggiare.

La parola all’Ing. Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, precedentemente direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale.

Lo scorso marzo, il Ministro Cingolani parlava di un «aumento del prezzo dei carburanti ingiustificato», arrivando a definirlo una «colossale truffa». Chi e perché ha causato questo picco?

Il costo dei carburanti è cresciuto così rapidamente per effetto di due ragioni principali. La prima è l’incremento del prezzo del petrolio greggio, dovuto a sua volta sia a un’offerta insufficiente, sia alle tensioni derivanti dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La seconda ragione è che, anche senza che vi siano sanzioni formali, molti compratori occidentali hanno smesso di acquistare petrolio e prodotti raffinati dai fornitori russi, determinando così indirettamente una scarsità ancora maggiore. Oggi il problema riguarda soprattutto il diesel.

Quanto incidono le fluttuazioni del mercato sul prezzo finale del carburante?

Le fluttuazioni dei prezzi all’ingrosso (del petrolio grezzo e dei prodotti) sono la principale determinante del prezzo dei carburanti al netto delle tasse. Possono verificarsi fenomeni di monopolio locale, ma in generale quello della distribuzione in rete dei carburanti è un mercato competitivo. Ovviamente, se anziché di aumenti parliamo di livello dei prezzi, la principale determinante è la componente fiscale, che in Italia rappresenta tra il 50 e il 60% del prezzo alla pompa.

Già nel corso del 2021 il prezzo carburante era in salita. È la guerra in Ucraina la vera responsabile?

La guerra in Ucraina ha esacerbato una situazione pre-esistente. Il fatto è che ci trovavamo, già prima della guerra, in una situazione molto complessa: la domanda aveva ripreso a crescere persino al di là delle aspettative, a causa di un recupero economico più rapido del previsto dopo la crisi del Covid. E l’offerta si è rivelata insufficiente, a causa soprattutto di un prolungato periodo di sotto-investimento nella ricerca di nuove risorse: basti dire che il 2021 è stato l’anno con le più basse scoperte degli ultimi 75 anni.

L’emergenza covid e i relativi lockdown hanno influito in qualche modo?

Hanno influito indirettamente. Come dicevo, la causa profonda del caro-prezzi sta nel prolungato sotto-investimento nella ricerca di nuove risorse. Questo dipendeva dai bassi prezzi che abbiamo avuto nell’ultimo decennio, e che scoraggiavano i nuovi investimenti. Ma questa situazione “patologica” è stata in qualche modo nascosta dal Covid e dai lockdown, che hanno depresso la domanda in modo drastico, spingendo i prezzi verso i minimi storici.

Cosa determina il prezzo dei carburanti?

Il prezzo dei carburanti dipende sia dall’andamento dei prezzi del greggio e dei prodotti sui mercati internazionali, che a loro volta dipendono dalle condizioni reali di domanda e offerta, sia dalla componente fiscale, che in paesi come l’Italia è assolutamente prevalente. Le accise italiane (prima del taglio temporaneo deciso dal governo Draghi per mitigare i rincari) erano tra le più alte in Europa.

Sempre lo scorso marzo, Carlo Cottarelli scriveva di un divario profondo tra i costi dell’importazione del gas e le quotazioni sul mercato Ttf di Amsterdam, attribuendolo ai contratti a lungo termine e ai diversi metodi di indicizzazione -gas o petrolio- che comporterebbero una sostanziale differenza sul prezzo. L’Istat -su cui dati si basava Cottarelli- ha subito smentito, parlando di “anomalie sui dati”. Come stanno le cose?

L’analisi di Cottarelli si basava sulla serie storica dell’Istat, che però è stata successivamente rivista e corretta al rialzo: la differenza tra i costi medi di importazione e i prezzi di vendita del gas è molto meno marcata di quello che sembrava. Ci sono anche altre ragioni per cui il problema principale non va cercato nelle modalità di pricing al dettaglio, ma nei costi a monte. Questo non significa che non si possa intervenire anche sui mercati retail, ma che il problema sta principalmente nella scarsità dell’offerta e nell’incertezza determinata dalla guerra. In ogni caso, il modo migliore per indurre all’efficienza di rivenditori di gas è quello di promuovere la concorrenza: purtroppo il governo ha ceduto al populismo energetico di una parte della maggioranza, continuando a rinviare la piena liberalizzazione del mercato.

Chi e come può abbassare questi prezzi?

Nel breve termine, c’è poco da fare oltre a promuovere la concorrenza e limitare, anche temporaneamente, il prelievo fiscale. Nel lungo termine, però, l’unico modo di spingere i prezzi al ribasso è aumentare l’offerta e contenere la domanda, per esempio attraverso investimenti in efficienza energetica. In ultima analisi la soluzione non può che arrivare dal mercato e dal sistema dei prezzi, che induce le imprese a investire in nuove risorse e i consumatori a cercare di ridurre i consumi. Per questo le misure di sconto fiscale vanno dosate con giudizio, per evitare che falsino i segnali di prezzo.

Accise, iva, iva sulle accise. Quanto pesano le tasse sul prezzo finale?

Dipende ovviamente dal vettore energetico: ma in quasi tutti i casi, dall’energia elettrica al gas ai carburanti per autotrazione, le componenti fiscali e parafiscali costituiscono attorno al 50% del prezzo o anche più. E questo fa capire quante responsabilità abbia la politica nell’attuale situazione.

Il taglio delle accise è stato prorogato fino al prossimo 8 luglio. Dopo cosa succederà? Cosa dobbiamo aspettarci per l’estate?

Bella domanda. Il taglio generalizzato delle accise dà un qualche respiro a consumatori e imprese, ma ha un costo ingente in termini di mancato gettito fiscale. Inizialmente era previsto fino al 20 aprile, poi è stato prorogato fino a luglio. Non è da escludere che si deliberino ulteriori proroghe, visto che è improbabile che i prezzi si riducano in misura significativa nel giro di pochi mesi. In ogni caso, il ritorno alla normalità – cioè l’incremento delle accise per tornare ai livelli pre-crisi – dovrà prevedere un phase-in graduale, in modo da evitare un “balzo” dei prezzi proprio quando, sperabilmente, si staranno riducendo.

Quanto tempo richiede la definitiva emancipazione dalle fonti fossili? E quale politica energetica realistica potremmo adottare nel breve e medio periodo?

E’ difficile dirlo. Come Europa ci siamo impegnati ad arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050. Questo implica un drastico ridimensionamento delle fonti fossili ma non necessariamente il loro completo abbandono: grazie alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, possiamo sviluppare modi per utilizzare in modo sostenibile le fonti fossili nei settori nei quali esse sono tecnicamente o economicamente difficili da sostituire. Credo che l’enfasi non dovrebbe essere in sé sull’abbandono delle fossili ma sulla riduzione dell’impronta ambientale: in fondo la confusione di questi due piani ha contribuito al sotto-investimento nella ricerca di nuove risorse (e al disinvestimento dalle compagnie petrolifere) che è una delle cause della situazione attuale. Dovremmo invece adottare politiche finalizzate a promuovere il miglioramento della qualità ambientale, attraverso l’innovazione tecnologica e la spinta verso condotte più sostenibili da parte di famiglie e imprese.

a cura di Michela di Gaspare

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