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Del seguente articolo:

Ottobre - Febbraio/2015 -
La potenza di una rete su tutti i continenti
Mons. Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano: le caratteristiche di un’emittente mondiale
Andrea Nemiz e Dimitri Sassone

Siamo in Vaticano, il più piccolo Stato del mondo che calamita sguardi e interessi da ogni Paese. La sede del nuovo Centro Televisivo è dentro al Vaticano vicino a Porta S. Anna, e si colloca a fianco a quella dell’Osservatore Romano, il giornale ufficiale della Città dei papi. Due strumenti di informazione. L’uno tradizionale, grande la veste tipografica; l’altro modernissimo e raffinatamente tecnologico, l’emittente televisiva del CTV. Stampa tv si collocano nel mondo a fianco della antichissima Radio Vaticana che fu costruita da Guglielmo Marconi negli anni ‘30 dello scorso secolo
Il Centro Televisivo diretto da Mons. Dario Viganò è la televisione del Papa, una minuscola emittente che con i satelliti spazia su tutto il mondo, lo cattura, lo incolla nei video durante i riti sacri, i viaggi, gli incontri con i Grandi della terra e con i più piccoli, i bambini, gli anziani, i malati, i poveri.
A dirigere il Centro è Dario Edoardo Viganò, un sacerdote che ha appena superato i 50 anni, ama il cinema, insegna nelle Università le tecniche della comunicazione, fa parte di diversi organismi culturali, scientifici nazionali e internazionali. Nella nostra mente e nei nostri occhi sono impressi avvenimenti eccezionali più o meno recenti di grande significato e di intensa emozione: gli incontri di preghiera nei Giardini Vaticani tra i leader delle tre religioni monoteiste, il volo dell’elicottero nei cieli di Roma verso Castel Gandolfo di Benedetto XVI verso la rinuncia del Pontificato, i pellegrinaggi di Papa Francesco in Italia e all’Estero, gli episodi di intensa commozione negli abbracci con i bambini e i malati. Ma la vita non si ferma. La Chiesa non si ferma. Gli eventi incalzano di giorno in giorno, di ora in ora. A partire dal Sinodo.

Monsignor Dario Viganò, come lo presenta il suo Centro Televisivo Vaticano?

"Abbiamo la responsabilità noi del CTV di essere titolari esclusivi per le riprese sul Papa e di poterle offrirne le immagini a tutto il mondo. Del Sinodo abbiamo recentemente raccontato la seduta di apertura con la relazione del Santo Padre, dei Presidenti e del Segretario generale mettendo a fuoco momenti e immagini particolari. Dal punto di vista dei Vescovi, che ne sono i protagonisti, ne abbiamo focalizzato uno per ogni continente, con inquadrature particolari, i temi, i problemi e gli aspetti specifici. Ma abbiamo anche scelto, analogamente, una famiglia per continente, con esperienze famigliari diversificate. Insomma, immagini, volti, note su associazioni e movimenti che ci hanno consentito di realizzare un racconto caleidoscopico. Così ogni giorno, ogni sera possiamo raccontare tutto quello che avviene, come compete ad una Televisione come la nostra.

Sul Sinodo i cattolici hanno avuto molte attese, e Anche i non cattolici.

“C'è un modo specifico per presentare un evento ecclesiale: raccontarlo, cioè, con quella che si chiama “ermeneutica spirituale”, come hanno voluto i due Pontefici vicini a noi nel tempo, Papa Benedetto e Papa Francesco. In sostanza, sempre con un criterio di semplificazione. Mi spiego: noi non presentiamo il Sinodo, o gli altri avvenimenti religiosi e spirituali, come se fossimo in un campo da gioco dove si confrontano due squadre delle quali una vince e una perde, ma come un momento specifico ecclesiale in cui ciascuno, a partire dalla propria esperienza, dal proprio vissuto, dalla propria formazione, si pone in ascolto di ciò che lo Spirito chiede alla Chiesa oggi, per poter essere fedele al Vangelo, alla tradizione, al Magistero.

State quindi operando nella linea apostolica di Papa Francesco?

“Anche nella nostra professione sentiamo la necessità che la Chiesa non diventi o non si riduca a museo, ma sia piuttosto, come appunto ci ricorda Papa Francesco, una sorta di “ospedale da campo”. Quanto al tema Sinodo, quello della famiglia, non ce n’è un altro così attuale e sentito: come si può aiutare la famiglia oggi a vivere pienamente le relazioni, come si possono coltivare gli affetti buoni al suo interno. Lo vediamo, lo constatiamo sempre più oggi che le famiglie sono ferite dai gravi malanni spirituali, psicologici, fisici del nostro secolo. Guerre impensabili e disastri ambientali, la povertà e la fame ci stanno fiaccando. L’idea quindi di Chiesa come ‘ospedale da campo’ è un buon metodo per leggere e affrontare queste difficili situazioni. Quando arriva un infermiere in un ospedale da campo la prima cosa che deve fare e fa è suturare o medicare le ferite più profonde. Non si mette davvero a fare l'esame dei trigliceridi, del colesterolo o altro. Questo semmai sarà in un altro momento. Noi in televisione possiamo mostrare la vicinanza, la cordialità, l'affetto del Vangelo con le situazioni e le relazioni ferite.

Quale genere di strumento possiamo identificare nel CTV? Forma di apostolato, messaggio, o informazione, spettacolo, intrattenimento?

“Il CTV Vaticano ha un compito molto preciso: quello di raccontare i gesti e le parole del Papa, rendendo questo racconto disponibile per il mondo intero. Non allestiamo alcuna 'messa in scena'. Certo, alcune rappresentazioni sono molto codificate. Ad esempio, la celebrazione della Santa Messa. Qui c’è un codice molto strutturato. Di conseguenza il nostro stile di regia è quasi interamente prefissato . Ci sono invece momenti in cui possiamo dare più voce a una piazza più ampia, più larga. In questo ultimo anno e mezzo – è stato notato – abbiamo usato molto camere di ripresa, “cigni”, “cicogne”, grafici, grafiche, grandangoli, in modo da poter quasi lambire il popolo variegato che assiste, dalle religioni più diverse, dagli abiti dai colori più sgargianti che viene da tante parti del mondo. Come se, in qualche modo, potessimo volteggiare su queste persone, spalancando il Colonnato del Bernini, o usandolo come sipario, quasi una forza centrifuga per un popolo che si è posto in ascolto della Parola del Signore e del Magistero del Santo Padre.

In tutta questa complesa varietà di scenari quale è la vostra scelta portante nel linguaggio televisivo?

“La scelta in ogni caso è quella di far parlare i protagonisti e i protagonisti sono da una parte il Papa e dall’altra la gente. A volte scegliamo delle inquadrature che mirano a restituire la caratteristica propria del Papa. A volte, si pensi, usiamo delle scelte soggettive. Ad esempio, poniamo una telecamera a fianco e dietro al Papa per restituire allo spettatore non solo lo sguardo della gente verso il Papa ma anche quello del Papa verso la gente. Così dall’incrocio degli sguardi nasce l’incontro, la reazione, Questa è spettacolarizzazione? E’ spettacolo? Io non credo. Questo è mettere la tecnologia, lo strumento televisivo, al servizio di quella che abbiamo indicato come la missione di Papa Francesco.

Ma quale è l’importanza che date alla cura delle immagini?

“Talvolta, è vero, scegliamo anche di curarle molto. Si pensi ad esempio all’incontro nei Giardini vaticani con Simon Peres e Abu Mazen. Abbiamo messo un operatore, una telecamera nel pullmino dove erano gli interlocutori, non per sentire quello che si dicevano ma per respirare l’aria, l’atmosfera. Anche questo non è spettacolo ma è la responsabilità di consegnare alla storia alcuni momenti davvero straordinari. La ‘location’ era era molto suggestiva. Abbiamo fatto anche un controcampo, Credo sia stata una cosa importante. Abbiamo dovuto disseminare i giardini di antenne per non perdere il segnale. Al di là della complessità tecnica, la difficoltà stava nel riuscire a fare le riprese dall'esterno attraverso i giardini, anzi che dentro. Questo non credo che sia spettacolo . Sapevamo di avere la responsabilità di consegnare alla storia alcuni momenti davvero straordinari.

Come il ritiro di Papa Ratzinger a Castegandolfo in elicottero dopo la sua rinuncia al Soglio Pontificio?

“Non abbiamo mostrato Papa Benedetto al ritorno, perche dal punto di vista narrativo non funzionava. Abbiamo sfruttato il passaggio dal Vaticano a Castel Gandolfo come un viaggio, fino alla chiusura del portone, perché altrimenti avremmo avuto la chiusura di un Pontificato senza la morte di un Papa. Qui, in Vaticano, ho trovato quel dettaglio del carrello dell'elicottero che mi è servito di 'stacco' e da lì si è capito che c'era un punto di non ritorno e poi la chiusura del portone con il passaggio dalle Guardie svizzere ai Gendarmi: tutto questo simboleggiava la chiusura storica del Pontificato.

Nel vasto panorama delle produzioni televisive, come si pone il CTV nel mondo , quali i confini? Arriva in Cina, in India, nel Nord e Sud America?

“La spiegazione è complessa. Abbiamo due tipi di circuiti e dobbiamo distinguere da eventi 'live', e le 'news'. Alcuni eventi vanno in 'Mondovisione'. Non ci sono problemi: via satellite distribuiamo a tutti e chiunque vuole può farne uso. Per quanto riguarda la distinzione fra “live” e “news” generalmente lavoriamo attraverso due satelliti che sono sempre con noi sincronizzati (e uno di loro lo consideriamo di 'contribuzione'). Con essi raggiungiamo tutta l'Europa, il Medio Oriente e il Nord America (ma con una diversa compagnia televisiva, perché lì non abbiamo una copertura satellitare continua). Però ci sono alcuni eventi 'live' che possono interessare molto il Sud America, perché il Papa è argentino. e quindi affittiamo un terzo satellite . Nel Sud America usiamo il satellite già denominato 'contribuzione' che copre le tv e i broadcast nazionali e internazionali. In Italia ovviamente abbiamo un rapporto privilegiato sia con le reti pubbliche e private e sia con TV 2000 e Telepace.

Quali sono dunque le dimensioni che assume il CTV nel mondo?

Per quanto riguarda le news, riprendiamo tutto ciò che fa il Papa: gli incontri, quelli con i Vescovi, le Conferenze Episcopali, i Presidenti di Stato, i diplomatici, i gruppi, i profughi. Riprendiamo per documentazione e ne selezioniamo una parte che distribuiamo attraverso le view sia alle tv e a chi le chiede. Sì, il nostro è un Centro di produzione piccolo ma, idealmente, è la TV più grande del mondo. Si pensi alle canonizzazioni dei due grandi Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, nelle quali abbiamo lavorato su quattro satelliti.

Monsignore, quale è la sua opinione sulla formazione nel mezzo televisivo oggi?

“La televisione sta cambiando molto, sia in termini di produzione che di fruizione. Anche noi dobbiamo calibrare gli investimenti tecnologici in vista di quello che dovrà divenire la televisione. In generale, penso che molto ci sia ancora da fare in termini di educazione basilare. Vi sono corsi a macchia di leopardo nelle scuole di “middle education”, che andrebbero ancor più valorizzate. Ci sono incontri e stages organizzati da diverse strutture. A mio parere, più che un'educazione sulla fruizione, si dovrebbe prendere coscienza dei processi che avvengono mentre si fruisce un evento. Oggi ormai l'ascolto è mirato su telefonini e smartphone. La televisione è generalmente meno vista. Piuttosto si selezionano programmi e al loro interno segmenti particolari, che si riaprono e si richiudono. Tutto questo è un territorio molto interessante da un punto di vista educativo. Si rivelano le tracce di coloro che giocano, dal momento che esiste anche un aspetto ludico con il testo televisivo. Si possono scoprire tendenze, prerogative, gusti e in parte anche le identità dei giovani.

“Si pensa che i 'talk show' avrebbero oggi fatto il loro tempo, che ne dice?

“Un po' è vero nel senso che ormai la televisione fatica molto a reinventarsi oggi. I ragazzi vedono in anticipo sul proprio cellulare le “web series” americane perché la tv è ormai pensata su modelli di un pubblico che è ancora presente ma che lentamente tende a sfumarsi. E forse anche i talk show verranno meno. Vi sono poi delle cose che depongono sempre molto bene e mi riferisco ad esempio a serie come quelle del Commissario Montalbano e del Don Matteo che sono strutture narrative molto semplici e il loro pubblico non è solo di persone anziane ma anche di giovani. Forse anche perché sono in prime time, e i ragazzi la sera, dopo l'università, forse non vogliono impegnarsi. Ma un conto è lo strumento che ti coccola e ti vuole fare riposare, un altro conto è la volontà dei ragazzi di essere loro stessi protagonisti e magari nel pomeriggio preferiscono scaricarsi le “ web series” americane.

In conclusione che qualità esprime il piccolo schermo?

“Io credo che oggi abbiamo troppi canali e troppo pochi contenuti, e quindi avremo certo differenzazioni di qualità . Penso ai nuovi schermi ricurvi per i 4K e lì si svilupperanno contenuti legati all'arte, alla cultura, di grandissima qualità, definizione e, soprattutto, in 3D. Poi ci saranno contenuti più comuni e di consumo immediato con una definizione meno alta e anche nella confezione più semplice. Andiamo verso una tv non sempre uguale ma con precise differenze.

Quali sono, se è lecito, le aspirazioni di un prete manager televisivo, studioso, docente, massmediologo?

Le aspirazioni di un prete sono quelle di essere sempre più capace di essere trasparente al Vangelo perché in fondo, o primariamente, uno diventa prete perché rimane affascinato dal Signore Gesù. Ma anche perché vuole in qualche modo che la propria vita si spenda per lui e come ha fatto lui tra gli uomini e le donne di oggi. Inoltre, più che aspirazione, ho l'ambizione di fare bene il mio lavoro e quindi valorizzando le professionalità che qui sono presenti e sono eccellenti. La squadra del CTV è davvero molto importante, cercando di vivere questo specifico del CTV al servizio di quelle realtà ecclesiali in una forma comunitaria, comunicativa e di comunione. Quando un prete ha l'ambizione di creare comunione è la cosa che lo rende felice e lo fa dormire sereno alla sera, mentre rende felici coloro che collaborano con lui.
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Il Centro Televisivo Vaticano
Dario Edoardo Viganò è direttore del Centro Televisivo Vaticano e professore ordinario di Teologia della comunicazione presso la Pontificia Università Lateranense. Insegna Linguaggi e mercati dell’audiovisivo presso l’Università LUISS di Roma, dove è membro del comitato direttivo del Centre for Media and Communication Studies ‘Massimo Baldini’.
ll Centro Televisivo Vaticano, istituito nel 1983 da Giovanni Paolo II, è diventato dal novembre 1996 un organismo collegato a pieno titolo con la Santa Sede. Scopo principale del Centro è quello di contribuire all’annuncio universale del Vangelo, documentando con le immagini televisive il ministero pastorale del Sommo Pontefice.
L'indomani dei Patti Lateranensi, nel 1929, Pio XI incaricò Guglielmo Marconi di costruire una stazione radio all'interno del nuovo Stato Vaticano, per poter comunicare liberamente aldilà dei confini e parlare ai cattolici di tutti i paesi e a tutte quelle regioni del mondo dove i regimi totalitari impedivano infatti la libera vita della Chiesa cattolica,chiamando a dirigere la Radio il padre gesuita Giuseppe Gianfranceschi, fisico e matematico. Il 12 febbraio 1931 Pio XI inaugurò l'impianto con un discorso in latino che suscitò vivissima emozione in tutto il mondo.


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