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Del seguente articolo:

settembre-dicembre/2007 -
Grazia Neri, il fotoreporter di guerra

Nessun giornale italiano può o vuole investire, spendere per mantenere un proprio fotografo collaboratore al fronte: le spese sono immense dai viaggi e soggiorni alla protezione personale, si pensi solo a quanto costa un giubbotto antiproiettile, un casco o più semplicemente uno di quei cosiddetti stringer. Lo stringer è quella figura locale che accompagna il corrispondente straniero, fotografo, operatore tv, gli fa da autista, da raccordo o da interprete con la gente del posto e costa centinaia di dollari al giorno. Senza il suo appoggio gran parte delle cronache dei giornalisti occidentali dai paesi caldi non sarebbe mai possibile. Una sorta di eroe misconosciuto dell'informazione il cui vero nome viene anche ‘coperto’ proprio per non renderlo facilmente identificabile come collaboratore di testate straniere e non metterlo perciò a rischio con le forze del posto. Chi parla è Grazia Neri, fondatrice dell'agenzia fotografica omonima che, da quarant'anni, con indiscutibile professionalità distribuisce in Italia e nel mondo servizi fotografici dei migliori professionisti in assoluto, italiani e stranieri. La "Grazia Neri" non ha fotografi al fronte alle sue dipendenze dirette ma, attraverso le rappresentanze in tutto il mondo, dai free lance alle agenzie come ‘VII’, ‘AFP’, ‘Contact Press Images’ ecc. (tra le migliori in campo internazionale) distribuisce in Italia documentazioni di guerra di fotografi stranieri come Christopher Morris, Stanley Green, e il grande James Nachtwey.
Oggi i fotoreporter affermati ed esperti - prosegue la direttrice dell’Agenzia - quelli che si sanno muovere fra i mille ostacoli che le guerre interpongono all'informazione visiva che deve necessariamente essere di prima linea, non sono davvero tanti. Fra gli italiani ve ne sono alcuni di prestigio come, ad esempio, tanto per citarne uno, Paolo Pellegrin, che è nato da noi e ora è alla Magnum: lavorano però solo per agenzie o testate straniere che possono proteggerli anche finanziariamente.
Parlando poi del cosiddetto abuso in pagina, o copertina, delle foto 'dal sangue fresco', o più semplicemente di tanto orrore apparentemente gratuito, Grazia Neri sostiene che “nessuno può condizionare l'attività di documentazione dei fotografi sull'avvenimento, anche se è chiaro che le loro scelte fotografiche a monte di certo le fanno, e sanno bene ciò che giornalisticamente funziona. I fotografi in guerra o comunque nei fronti caldi, prima, durante o dopo, e parlo dei più preparati, sono come dei grandi chirurghi che ritagliano con correttezza professionale tanti pezzetti di verità che poi spediscono a giornali o agenzie. Essi cercano di documentare la storia e in genere non mandano solo foto di morti, ma reportage completi; ne conosco moltissimi, e so che cercano di documentare non solo quello che hanno di fronte alla loro macchina fotografica, ma anche ciò che loro stessi vogliono raccontare sulla guerra in corso. Solo uno strettissimo controllo sull'uso della foto (come per esempio può imporre il grande James Nachtwey che non permette che foto isolate dal contesto del lavoro diventino fonte di godimento per i vouyeristi della morte). Si deve invece sottolineare - aggiunge - che eventuali tagli, titoli, didascalie o, peggio, manipolazioni di questi servizi esulano totalmente dalle loro competenze e sono di tutta responsabilità di chi li pubblica”. È altrettanto vero, però, spiega, che queste eventuali manipolazioni, con la ricchezza delle fonti che abbiamo oggi, vengono sempre più o meno smascherate. Anche le più innocenti, forse. E cita a questo proposito un recente episodio avvenuto negli Stati Uniti dove, per la mania di perfezionismo di un picture editor, una manipolazione nel digitale forse innocente, (solo fotografica e non politica), è stata scoperta e non so quante persone di quella testata siano immediatamente 'saltate'. Oggi certezza e serietà delle fonti sono indispensabili, i giornali non si fidano alla cieca, esigono la garanzia di agenzie ineccepibili semplicemente sul prestigio del loro nome (altro non c'è). Io stessa nelle foto importanti, pur adeguatamente sorretta dalla onestà di chi collabora con noi, sono ovviamente sempre sulle spine. Per quanto riguarda quei minimi aggiustamenti di inquadratura o di colore che si fanno prima di passare i servizi alla distribuzione, come il classico pezzettino di carta sul prato o simili, ebbene, l'intervento lo ritengo anche opportuno in quanto costituisce pure un servizio a monte per le redazioni ma, spostare i personaggi o, per assurdo, 'spostare il cadavere', questo assolutamente mai.
Per quanto riguarda i fotografi in guerra a carattere, diciamo così, estemporaneo - prosegue la fondatrice dell'Agenzia che oggi è diretta dal figlio giornalista Michele Neri, quei fotoreporter, tanti purtroppo, anche bravi, che cercano l'avventura o gloria effimera nei tempi brevi e non sono sostenuti da alcuna agenzia importante, spazio per loro purtroppo non esiste e sono destinati a scomparire professionalmente nel breve periodo, quando, e non avviene di rado, si infortunano o anche muoiono proprio sul posto, a causa della loro non preparazione o, diciamolo pure, pessima esperienza di fronte ai mille pericoli mortali che le insidie della guerra ogni istante pongono di fronte a questi temerari. In circa 40 anni di lavoro ne ho visti scomparire tanti - conclude Grazia Neri - sia tra i fotografi amici che tra semplici nomi intravisti poche volte. Drammatico infine che il fotografo di guerra venga visto come una celebrity, mentre, conoscendoli a fondo, oltre a una giusta ambizione personale, ai loro servizi si accompagna sempre un grande desiderio politico di raccontare la storia”



FOTO: Una delicata immagine di una donna araba che piange su una tomba.
Foto tratta dal sito Internet (James Nachtwey, "VII"/Agenzia Grazia Neri)


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