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Del seguente articolo:

giugno- luglio/2004 -
Il grido degli archeologi

Fra gli orrori della guerra, nel caos dell’Iraq, migliaia sarebbero i tesori archeologici scomparsi dal Museo Archeologico di Baghdad. Immenso anche il patrimonio che viene ogni giorno trafugato da scavi clandestini nei siti tra Babilonia, Baghdad e Bassora. Riportiamo alcuni commenti apparsi sulla stampa internazionale.


La dolorosa notizia del mostruoso saccheggio che ha colpito uno dei più preziosi tesori dell’umanità è stata data all’Università Libera di Berlino nel corso del IV Congresso internazionale di archeologia del Vicino Oriente antico, da uno dei più autorevoli archeologi americani, McGuire Gibson. Docente a Chicago di Archeologia mesopotamica, Gibson ha 40 anni di campagne di scavi in Iraq. Già prima dello scoppio della guerra il professore aveva lanciato l’allarme sul rischio che il conflitto potesse mettere in pericolo i quasi 100 mila siti archeologici e i musei del Paese considerato la culla della civiltà, e oggi è un fermo sostenitore della non casualità di quanto è accaduto con le torme degli scavatori clandestini sostenute da potenti organizzazioni del commercio mondiale di reperti storici di valore inestimabile
Questa comunicazione al convegno di Berlino, riportata in Italia anche dal grande archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla è stata accompagnata anche da una precisa documentazione fotografica aerea dagli elicotteri militari americani con le immagini dai più importanti centri archeologici della Babilonia massacrati dalla guerra assieme alle più prestigiose città del mondo sumerico ed accadico, come Lagash, Umma, Badtibira, Zabalam, Isin. Nelle immagini la sala del trono del palazzo di Sennacherib a Ninive, alla periferia di Mossul, con i resti dei celebri rilievi assiri, fatti a pezzi e sparsi sul pavimento; un comando delle forze britanniche installato sulle colline che ricoprono l’antica Kish, la città sede di ben quattro antiche dinastie da cui sorse l’astro di Sargon di Accad; in un’altra immagine la facciata del Museo di baghdad centrata da una cannonata di quegli stessi carri armati americani che non si mossero a protezione dei tesori del museo.
La tenacia degli archeologi di tutto il mondo per riscoprire, studiare e conservare, comunque, il patrimonio culturale della più antica umanità urbanizzata e l’esecrazione per lo scempio inimmaginabile della culla della civiltà fra il Tigri e l’Eufrate hanno fatto scaturire dal Congresso la “Dichiarazione di Berlino”nella quale con vigore sono state riaffermate la necessaria e insostituibile autonomia delle autorità culturali di ogni Paese nella protezione del proprio patrimonio culturale secondo la legalità internazionale; l’improcrastinabile necessità della presenza dell’Unesco nel coordinare aiuti e collaborazioni urgenti, efficaci e consistenti che facciano fronte alle devastazioni in corso; la piena responsabilità delle potenze d’occupazione nella tutela e nella salvaguardia dei beni del patrimonio culturale nei territori di un Paese occupato secondo le convenzioni e le dichiarazioni dello stesso Unesco.
Nel documento anche un forte appello affinché tutti i Paesi aderenti all’Onu, si impegnino con provvedimenti legislativi e operazioni di polizia non solo a bloccare l’entrata e l’acquisizione di qualunque oggetto di interesse archeologico e storico proveniente dal territorio iracheno, ma anche a restituirlo immediatamente e senza condizioni. Di fronte a una situazione di una gravità senza precedenti per l’ampiezza, la sistematicità e l’intensità del fenomeno degli scavi clandestini e del saccheggio, anche ciò che è sempre stato considerato un’irrealizzabile utopia appare oggi realistica, anche se difficilissima, la necessità del divieto formale, promulgato e sancito dalle organizzazioni internazionali, del commercio clandestini di reperti archeologici.
Il saccheggio infinito del patrimonio culturale dell’Iraq è stato denunciato anche in Italia, con cognizione diretta del fenomeno, dall’assirologo dell’Università di Roma Giovanni Pettinato (è fra i più grandi orientalisti contemporanei), in una conferenza alla 14ma Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico che si è tenuto al “Mart” di Rovereto. Del quadro irrimediabilmente devastato della più antica civiltà urbana del mondo, colpevole non è solo il defunto regime iracheno di Saddam Hussein, ma anche l’Occidente, in quanto ricettatore di beni trafugati e, nemmeno. Subito dopo l’ultima guerra in Iraq, ha detto Pettinato, si sono moltiplicati gli scavi clandestini nei siti più promettenti, con scopo esclusivamente predatorio. Sono stati saccheggiati tutti i musei regionali che il defunto regime di Baghdad aveva fatto allestire e che erano i depositari dell’intera storia mesopotamica. Peggio di tutto: le preziosissime tavolette con le scritture cuneiformi, le più antiche della storia dell’uomo, sono state cedute di contrabbando a mercati d’arte che le hanno poi rivendute con lauti profitti, anche a clienti istituzionali. Questa perdita è la più dolorosa ed è irrecuperabile, perchè - prosegue Pettinato - per incuria dei governanti del passato regime, le tavolette non erano mai state fotografate nè catalogate. Erano fra 70.000 e le 120.000, e ancora non è dato sapere con esattezza quante ne siano state trafugate - lamenta lo studioso - sottolineando che, dovunque si trovino, serviranno ormai a poco per ricostruire la storia più antica della Mesopotamia. Anche se le si potrà tradurre e studiare altrove, aggiunge, sono state irrimediabilmente sradicate dal loro contesto e sarebbe come leggere pagine strappate di un libro, senza sapere di che libro si tratti.
A Baghdad, dopo un caldo appello dei mullah nelle moschee e l’amnistia promessa ai saccheggiatori pentiti, molti iracheni si sono presentati per restituire il maltolto e, al Museo Nazionale di Baghdad alcuni pezzi sono stati effettivamente restituiti, ma sono ancora tanti i capolavori scomparsi. Secondo una notizia del New York Times, gli uomini dell’intelligence Usa avrebbero individuato alcuni nascondigli, nei sotterranei del museo e in altri depositi della capitale, recuperando 700 oggetti che si credevano perduti e che invece erano stati messi in salvo per tempo dai previdenti iracheni. Nel dibattito, che ormai si volge a livello mondiale, è intervenuto anche il direttore del British Museum, Neil McGregor, che ha sostenuto che il saccheggio è stato il più grande disastro per il patrimonio culturale dai tempi della seconda guerra mondiale. In un meeting di archeologi e responsabili dei maggiori musei del mondo, ospitato nello stesso museo, il numero due della Direzione delle Antichità irachene, Donny George, ha presentato una lista di 21 pezzi di valore inestimabile che mancavano all’appello. In un altro convegno, questa volta dell’Interpol, a Lione, il direttore generale delle Antichità irachene, Jabir Khalil Ibrahim ha integrato l’elenco: 38 pezzi. Almeno uno di questi, forse il più prezioso, il cosiddetto vaso di Warka (l’antica Uruk di Gilgamesh), sarebbe stato recuperato. La notizia viene dall’America. “Ma è incontrollata e io non ci credo”, obietta Antonio Invernizzi, un altro ricercatore del Centro Scavi di Torino, anche lui designato da una speciale task force costituita presso la Farnesina a guidare la parte culturale (assegnata all’Italia) del programma di aiuti internazionali (un riconoscimento per il ruolo avuto dall’istituto torinese in quarant’anni di attività in Iraq). L’archeologo si spiega: “Non è possibile che il vaso sia stato portato via da ladruncoli: è alto un metro, pesante, ben cementato al pavimento. Resta solo ‘eventualità che si trovi al sicuro in quale deposito sconosciuto, ma sarebbe un’ipotesi poco credibile perche Donny George, che ho visto a Londra, al tempo non ne sapeva niente: sarebbe come se il direttore del Louvre ignorasse dove si trova la Gioconda”.
Una conferma sul disastro culturale e sul suo parziale recupero e venuta anche dal professor Paolo Battino, del Centro Scavi di Torino, che tempo fa è stato in Iraq con una piccola delegazione italiana per preparare il terreno all’intervento umanitario votato dal Parlamento. Il direttore generale delle Antichità irachene, Jabir Khalil Ibrahim lo assicurò che erano stati tanti gli irakeni a restituire reperti scomparsi, ma di poco interesse, spiegando che li avevano presi per metterli in salvo. Una sola la rilevante eccezione: una grande statua di Salmanassar III, del IX sec. a.C., che è stata restituita in tre pezzi separati. Ibrahim ha anche ridimensionato le cifre catastrofiche iniziali, e oggi si parla di un migliaio di oggetti persi, tra rubati e distrutti. Altri furti sono segnalati nei musei di Mossul, di Ctesifonte, nel sito di Nimrud.
Il danno è immenso e appare sempre più chiaro che i capolavori sono stati sottratti su commissione. Lo dicono tutti, lo conferma Giuseppe Proietti, direttore generale per l’archeologia del ministero dei Beni culturali. Proietti, che ha visitato il museo di Baghdad ha raccontato che a terra sono stati trovati mazzi di chiavi e tagliavetri e che i ladri, che sapevano quel che volevano, sapevano anche come prenderselo. Ladri professionali, dunque. Roberta Venco, anche lei ricercatrice del Centro Scavi di Torino, ha partecipato a Lione a una riunione dell’Interpol e a quella successiva dell’Icom (International Council of Museums) dove si è discusso se riproporre una banca dati con tutte le foto e le descrizioni degli oggetti mancanti ma poi si è scelto di stendere solo una red list per categorie di oggetti in modo che, ogni volta che viene intercettato un pezzo sospetto, lo si blocca e si consultano gli esperti” Nei meeting di Lione è stata anche denunciata la totale assenza di controlli alle frontiere irachene, si è parlato dei giornalisti stranieri fermati dai giordani con i bagagli pieni di antichità. Che cosa succederà quando torneranno indietro i soldati, che è impossibile controllare?
Nonostante tutto, c’è chi vuole rimanere ottimista. È Giorgio Gullini, il padre fondatore del Centro Scavi di Torino, vero motore della presenza italiana in Iraq: “I capolavori trafugati sono oggetti molto grandi, non si possono tenere nascosti. E valgono milioni di dollari. È mai possibile che ci sia qualcuno disposto a sborsare certe cifre per poi non farli vedere a nessuno?”.
Le agenzie internazionali hanno invece diffuso i numeri meno allarmanti accertati dalla commissione militare incaricata d’inventariare gli scempi al Museo di Baghdad (17 bacheche aperte, 28 pezzi mancanti dalle sale principali, 22 reperti danneggiati). Notizie confortanti dal “New York Times” sull’identificazione - da parte di detective inviati da Washington - dei caveau dove erano nascosti i tesori dati per dispersi.
Un elenco dettagliato dei pezzi recuperati ancora mancherebbe e, dietro i finti saccheggi a furor di popolo, tanti sarebbero i registi del mercato clandestino dell’arte. Oltre a complicità probabili di funzionari, vigilanti e militari, di varie casacche, sembra che ancora non siano consultabili archivi, registri o dischetti dove si conserva la memoria del Paese.
Oltre alle notizie preoccupanti dai musei di Mossul o di Ctesifonte tante altre vengono dalle biblioteche dei monasteri cristiani del Nord , da siti in attesa di scavi, dai tempietti degli yazidi, dalle paludi dei mandei sopra Bassora, perché in Iraq non vivono solo sciiti, sunniti, e curdi. Almeno per ora. Infine, chissà poi se gli Alleati capiranno il ruolo dei nostri archeologi che da anni hanno lavorato con i colleghi iracheni stabilendo relazioni paritetiche praticamente uniche.
In risposta alle proteste e agli appelli internazionali, l’amministrazione Bush ha deciso l’invio a Baghdad di agenti dell’Fbi, per collaborare al recupero delle opere rubate. Ma il giudizio degli studiosi sull’iniziativa è scettico: “Evitiamo le sceneggiate hollywoodiane - ha detto Irene Winter, specialista di arte mediorientale antica ad Harvard - in Iraq serve una squadra di professionisti in grado di salvare il salvabile. La prima cosa da fare è ricostruire il Dipartimento alle Antichità”. Non ci vogliono agenti o poliziotti ma esperti che “partano da una catalogazione dei reperti e possano intanto individuare esattamente che cosa manca”, sostengono gli studiosi americani e si preparano a intervenire.
In prima linea ancorai professori dell’Università di Chicago, guidati dal veterano Mc Guire Gibson il quale, dopo una riunione a Parigi di specialisti internazionali sotto l’egida dell’Unesco per una valutazione dei danni al patrimonio irakeno, è stato tra i più convinti nell’affermare che il saccheggio del Museo archeologico di Baghdad è stato preparato e pianificato da bande specializzate in furti d’opere d’arte con ampie coperture. Tanto per dirne una, sarebbero spariti molti reperti anche dai depositi del Museo che, al contrario delle sale, non mostrano alcun segno di effrazione.
Dalla riunione di Parigi, conclusasi con l’ennesimo appello alla vigilanza da parte delle forze che occupano l’Iraq, è emersa anche la volontà di organizzare al più presto una missione di sopralluogo “interdisciplinare” a Baghdad di cui faranno parte specialisti di archeologia, architettura, archivistica, biblioteche e musei. Si è sottolineato anche come finora soltanto l’Italia abbia contribuito in concreto al Fondo speciale per il patrimonio iracheno, con 400 mila dollari che diventeranno presto un milione. “Siamo pronti a intervenire, ha detto Giuseppe Proietti della Direzione nazionale di Archeologia per l’Italia, di ritorno dal vertice, ma la situazione è grave. A Baghdad ci sono ancora vaste aree che sfuggono a ogni controllo e mancano le informazioni. Ad esempio io penso che il numero di reperti dati per scomparsi sia sovrastimato - lo spero almeno - anche perché molte statue e i grandi rilievi in alabastro delle statue assire sono rimaste al loro posto, per quanto danneggiate, e bisogna accertarlo al più presto. Occorre una ricognizione sul patrimonio culturale iracheno e non solo a Baghdad ma anche nel Nord, nell’Assiria, a Babilonia, nella terra di Sumer. Che non può essere affidata a personale militare, ma che dovrebbe avvenire sotto l’egida dell’Unesco”.


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