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Del seguente articolo:

maggio/2004 -
Un mito fra la gente
Elisa Ragionieri

Da bambina, a chi mi chiedeva cosa volessi fare da grande, rispondevo, tra le ire di mio padre e le perplessità di mia madre: il pompiere o il camionista. A chi domandava il motivo di quella strana scelta rispondevo senza esitazione che intendevo fare il camionista per viaggiare di continuo e il pompiere per aiutare le persone in pericolo. Non erano motivazioni particolarmente originali, ma descrivevano efficacemente un ‘comune sentire’, riflettendo un’immagine rassicurante del pompiere, un’immagine che conserviamo ancora oggi e che, seppure epurata dai toni edulcorati dell’infanzia, continuiamo a coltivare e ad apprezzare, nel tentativo di colmare la frattura esistente in ognuno di noi tra la sensa-zione di impotenza che proviamo di fronte alle disgrazie del mondo e l’aura di splendore che per fortuna a volte circonda la felice risoluzione di alcuni di quei casi.
Il pompiere è un topos, una figura chiave del nostro immaginario collettivo, capace di evocare visioni apocalittiche, ma anche atti di vero e proprio eroismo; è colui che vorremmo o avremmo voluto essere, colui che compie per mestiere azioni che nelle nostre fantasie assumono i contorni di episodi epocali: poter salvare qualcuno per essere salvati dalla monotonia e dal grigiore della nostra quotidianità. Non molto tempo fa un’amica mi narrava tra il serio e il faceto di un’esperienza da lei vissuta molti anni or sono, quando viveva ancora a Firenze. All’epoca era una giovane studentessa universitaria, al secondo anno della facoltà di Filosofia. Era bella, alta (è tuttora una bellissima donna) e dotata di grandi capacità organizzative, oltre che di ingegno sottile e vivace.
Durante l’alluvione del 1966 che provocò lo straripamento dell’Arno e la conseguente inondazione del capoluogo toscano, ebbe modo di conoscere, nel clima di emergenza di quelle giornate convulse, un baldo ed intrepido pompiere. Nel racconto della mia amica tutto appariva così vivo e convincente da lasciar pensare a un evento ancora recente: si era fratturata una gamba nel crollo di un muretto, non poteva camminare, l’acqua era ovunque attorno a lei, aumentava come aumentava la sua angoscia, il terrore che già le faceva prevedere il peggio quando, all’improvviso, fra i dolori lancinanti, si sentì sollevata di peso e, grondante acqua, si ritrovò nelle forti braccia di un pompiere che la trasse finalmente in salvo. Di quella triste circostanza, lei riusciva a ricordare soltanto la bella divisa del ‘suo’ pompiere, il coraggio, la fermezza con cui aveva affrontato la situazione immergendosi nell’acqua sin quasi alla vita per recarle aiuto. Continuò, mi disse, a fantasticare sul suo ‘salvatore’ per giorni e giorni, per tutto il lungo periodo di degenza che trascorse, ‘sepolta viva’ (queste le sue parole), in ospedale. Lo immaginava lì, farsi largo tra la gente nelle situazioni di pericolo, forte e bello come un dio greco. Voleva rivederlo, ringraziarlo non soltanto di averla salvata, ma di essersi trovato lì, per lei e per tutti quelli che ne avevano bisogno e che si trovavano in difficoltà.
Quando però, molto tempo dopo, la mia amica ebbe la ventura di incontrare nuovamente l’eroe dei suoi sogni - e ciò avvenne in circostanze meno ‘burrascose’ - quel superuomo che ricordava, non indossava la ‘forte’ divisa che le era rimasta in mente, non aveva l’elmetto, né casco né guanti, e immediata fu la sensazione che si trattava proprio di un uomo ‘normale’, molto normale, troppo normale. Una irrimediabile discesa nel quotidiano che le fu però sufficiente per capire che ormai quell’uomo non la interessava più…
Riguardo ai pompieri al lavoro, le loro vicende, diciamo così, professionali, mi sono rimbalzate in mente in un’altra occasione mentre assistevo alla proiezione di un film, “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana. Nella scena, di nuovo l’alluvione del 1966 a Firenze. Anche lì, tra libri immersi nell’acqua - l’inondazione causò perdite ingentissime al patrimonio librario della Biblioteca Nazionale - resti galleggianti di mobili e oggetti semidistrutti: ovunque, sullo schermo come nella realtà, pompieri indaffarati a sgomberare edifici pericolanti e a portare in salvo cose e persone. E così, ovviamente, mi son pure tornate in mente quelle dure immagini dell’11 settembre, tuttora così vive dinanzi ai nostri occhi, dove in tempo reale si è registrato il sacrificio di quei tanti pompieri presenti quel giorno al World Trade Center, uomini normali e valorosi, che diedero la propria vita per salvare tanti altri uomini normali, che stavano perdendo la loro.


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