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Del seguente articolo:

Gennaio-Febbraio/2013 -
Una Italia molto complessa e molto smarrita
Andrea Nemiz



La più alta Istituzione italiana è quella del Capo dello Stato ed è quella che meglio è stata definita dai Padri costituenti per i momenti di difficoltà del Paese. Il Presidente ha infatti tutti gli strumenti per intervenire, come avvenuto nella crisi di governo del 2011 quando attuò una soluzione di emergenza di fronte all'incalzare dello spread. Nei periodi di calma, invece osserva da lontano la dialettica politica e sociale nel Paese. Ma questo non significa che sul Colle non si pensi al dopo elezioni. Si seguono i sondaggi, si parla con i leader, e soprattutto ci mira a dare veste istituzionale e costituzionale al responso delle urne.
Siamo oggi forse nel momento in cui ciascun elettore già pensa chi non votare, per concentrarsi poi nelle scelte. Lo schema sul quale si stanno intrecciando le valutazioni del Colle, ruota sostanzialmente su alcuni punti. In una prima ipotesi, con la vittoria del centro sinistra alla Camera e una maggioranza minima al Senato, il vincitore, anche non primissimo, potrebbe essere incaricato di formare il nuovo Governo. La volontà del popolo sovrano verrà rispettata. In seconda ipotesi, potrebbe essere chiamata nell’ambito del Governo anche la seconda forza scaturita dalla urne. L'Italia non può permettersi di non avere una maggioranza che sappia rispondere al rigore di scelte economiche pregnanti e alla necessità di riforme sul fronte istituzionale.
In altra ipotesi, se la forza più importante dopo il Pd sarà Forza Italia, la riflessione potrebbe spostarsi sulla crescente evanescenza elettorale e alla seguente complicazione dei rapporti interni al centro, oltre che alla concorrenza stessa a sinistra con le sue ali estreme, che sposta ancor di più l'asse di un governo PD forse sostenuto solo da apporti laterali
Se dalle urne dovesse invece scaturire un pareggio al Senato, si potrebbe allora pensare un patto di governo fra primo e secondo classificato che inizi dall’accantonare qualsiasi interesse di propaganda elettorale, quali la patrimoniale (che preoccupa tutta quella borghesia italiana sopravvissuta all’Imu), o il taglio repentino delle tasse dall'altro, tanto per fare due esempi. La piattaforma potrebbe in questo caso essere la condivisione di precisi interventi economici, tagli effettivi e duraturi della spesa sostegno alle imprese per la crescita, nonché la risoluzione di alcuni temi specifici sulle nostre grandi industrie. Si dovrebbe cioè gestire il pareggio annunciato (o la scarna vittoria), in una formula istituzionale di sostegno alle stesse volontà politiche dei protagonisti al di là della propaganda elettorale del rush finale.
Sarebbe così legittimata la formazione di un Governo politico a maggioranza più larga, ma politicamente riconoscibile. Sia rispetto alla gravità dei problemi, sia rispetto ai limiti emersi con il governo tecnico. In pratica, questa prima opzione sarebbe di collaborazione fra i due primi partiti. Un punto importante sul quale tutti si stanno però arrovellando, sarà poi quello di come ‘battezzare’ una nuova esperienza di collaborazione governativa che si andrebbe a ipotizzare. Il suo non è affatto secondario, se solo si pensa a come nel corso della Prima Repubblica sono state denominate esperienze come quella delle "convergenze parallele" o quella della "non sfiducia". Innanzitutto, comunque, si dovrebbe escludere dalla denominazione ogni riferimento emergenziale, visto che la ‘chiave ‘ verrà dopo che il popolo ha votato. Alcune ipotesi sono emergenti: “Unità repubblicana", "Convergenza per lo sviluppo" e "Responsabilità nazionale".
In ultima notazione, augurandosi che una forza politica vinca bene sia alla Camera che al Senato, a favore della soluzione dell'alleanza con il secondo miglior piazzato, c'è la consapevolezza che, di fatto, il bipolarismo sarà superato. Senza una legge elettorale che lo certifichi e, soprattutto, senza la possibilità di averla nel prossimo Parlamento.


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