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Del seguente articolo:

Giugno - Agosto/2009 -
Cri Piemonte, riflessioni sul dissesto del pianeta
Cambiamenti climatici, nuova emergenza per la Croce Rossa
Dante Ferraris - Commissario Comitato reg. Cri Piemonte

Pianificazione e formazione un nuovo viaggio in Piemonte
attraverso il clima che cambia. Nei 200 anni da che ebbe inizio
la Rivoluzione industriale si è verificato un enorme pressione
dell’intervento dell’uomo sulla natura e sull’ambiente in cui vive.
A parte la minaccia di una guerra atomica o la mitica
conquista del pianeta Terra da alieni, il pericolo più immediato
oltre l’aumento esponenziale della popolazione è il mutamento
climatico, un fenomeno completamente nuovo
che costituisce una enorme minaccia per l’intero genere umano.

Grazie alla globalizzazione mediatica, i fenomeni atmosferici estremi sono entrati nella realtà quotidiana, ma se ne parla sempre troppo poco. La temperatura sulla terra è cresciuta in cento anni di 0,7 gradi, con una vistosa impennata a partire dagli anni ’70; ma potrebbe salire ancora. E’ l’allarme della “Commissione O.N.U sul cambiamento climatico” (Ippc). Televisione, internet, riviste e filmografia nonché intere pagine, tutti i giorni parlano di meteorologia e di cambiamenti climatici, nonostante ciò sentiamo l’argomento lontano da noi. Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono molte e spesso poco conosciute, trovano riscontro negli eventi meteorologici estremi (trombe d’aria, siccità, uragani, alluvioni ecc..), sempre più frequenti nonché nell’innalzamento dei livelli dei mari , nello scioglimento di ghiacciai ritenuti perenni solamente quando io andavo ancora a scuola. Il clima del nostro pianeta, dopo una glaciazione terminata 12.000 anni fa, è rimasto abbastanza stabile, i cambiamenti di temperatura, secondo gli esperti, sono stati al massimo di 2 gradi. Ma ci sarebbe inoltre motivo di preoccuparsi per il rifornimento di cibo anche se la popolazione si mantenesse sul livello attuale: un’agricoltura irresponsabile. La monocultura e la coltivazione intensiva tra le principali cause, il diboscamento, e altri fattori hanno contribuito a ridurre la produttività di zone un tempo fertili. Le guerre, le carestie e le epidemie servivano un tempo a contenere l’aumento delle persone, entro limiti ragionevoli, ora si affaccia qualcosa di nuovo. Bisogna equilibrare il problema dei cambiamenti climatici con il diritto allo sviluppo sostenibile dei popoli. A soffrirne sono soprattutto quelle popolazioni che vivono in povertà e che non subiscono solo l’effetto mutamento climatico, ma molti altri effetti, oltre la scarsità di cibo e acqua ed è per questo motivo che sono attese nel mondo crisi umanitarie a breve termine. E non solo sono in pericolo le riserve di cibo, ma anche le maggiori fonti di energia, il petrolio e il carbone, giacimenti non inesauribili. Con estremo cinismo, il cambio climatico sta facendo già pagare il prezzo più alto ai paesi meno ricchi, infatti il maggior numero delle vittime di eventi climatici estremi si trova nel Sud del mondo. Il ritmo accelerato dei mutamenti sociali ed economici influisce inoltre sia sul tenore di vita che sulle condizioni fondamentali dell’esistenza: le nuove potenze economiche si stanno urbanizzando sempre di più, sviluppandosi in genere molto caoticamente e all’improvviso. Gli scenari disegnati per i prossimi anni dai climatologi sono drastici: il surriscaldamento atteso dagli esperti produrrà danni all’agricoltura, ridurrà la disponibilità di acqua potabile (soprattutto ove già ora vi è scarsità), ciò fa prevedere la riduzione o la scomparsa di molte specie animali viventi. Ci saranno quindi regioni del mondo dove la disponibilità di acqua sarà sempre minore e aree sempre più estese che dovranno fare i conti con alluvioni diffuse.
Si è sempre parlato di effetto serra quale colpevole principale del surriscaldamento del pianeta. L’effetto serra è principalmente causato dall’immissione in atmosfera di un eccesso di biossido di carbonio e altri gas derivanti dalle attività industriali. Il primo allarme sulle mutazioni del clima risale al 1974, quando si scoprì in Antartide un “buco” nello strato di ozono che avvolge l’atmosfera e protegge dai raggi solari più pericolosi. Da subito si comprese il pericolo legato all’assottigliamento dello strato di ozono sopra alcune aree del nostro pianeta e si arrivò all’Accordo di Montreal, che mise al bando nell’87 i clorofluorocarburi (CFC), gas artificiali colpevoli di “uccidere” le particelle d’ozono. Dopo anni di calma apparente il buco nell’ozono ha ripreso ad allargarsi. Altra azione nella lotta al cambiamento climatico è il famoso Protocollo di Tokio, in vigore dal 2005; benché sia stato scritto nel 1997, tale accordo impegna i paesi più industrializzati a ridurre del 5% le emissioni di CO2 equivalenti (anidride carbonica, ossido di azoto, metano e altri gas). Ma in realtà l’efficacia del protocollo è assai limitata: gli Stati Uniti non lo hanno subito condiviso, mentre Cina e India, pur avendolo ratificato, non devono sottostare ai suoi impegni, in quanto politicamente non sono stati considerati responsabili del livello attuale di inquinamento, in quanto generato nell’epoca industrializzazione occidentale.
Nel frattempo, i nuovi paesi industrializzati (tra i quali India e Cina), dovranno far crescere le proprie metropoli e industrie a velocità olimpionica e saranno i prossimi responsabili del 60% delle emissioni inquinanti (Aie Outlook report). “Le vie scelte dai paesi poveri per svilupparsi avranno effetti importanti sui cambi climatici” ha dichiarato Eveline Erfkens, coordinatrice della campagna “Obiettivi del Millennio” dell’ONU. Certamente è prioritario migliorare le condizioni di vita dei milioni di poveri, impegno che la comunità internazionale non può non assumere , ma per ottenerlo bisognerà produrre più energia e ciò graverà sull’ambiente. “Gli abitanti indigenti delle aree tropicali sono i più vulnerabili; è probabile che i paesi con meno risorse sosterranno l’onere maggiore dei cambiamenti climatici, quanto a perdita di vite umane e relativo effetto sull’economia” insiste Herfkens.
Nell’atmosfera sono presenti circa 3 milioni di tonnellate di anidride carbonica che sono pure in vertiginoso aumento. Non tutti i paesi del mondo contribuiscono però alla stessa maniera nell’emissione di gas ad effetto serra: gli Usa producono in media una quantità di emissioni annue di CO2 pari al doppio di quelle europee.
Un accordo internazionale al G8 lo hanno assunto tutti i grandi del mondo, impegno che deve tradursi in atti e poi fatti. Nel frattempo, però, la produzione di gas serra invece di scendere è cresciuta dal 2000 a oggi dell’11%: secondo gli esperti, il punto di non ritorno oltre cui serviranno cambiamenti drastici per evitare il peggio sarà il 2015.
Le multinazionali comunque non ignorano il problema dell’ambiente: i grandi di Wall Street hanno finanziato con parecchi milioni di dollari fondazioni come la Rockefeller Foundation attraverso il “Carbon disclosure project” (CDP) (http://www.eni.it /it_IT/sostenibilita/cambiamenti-climatici-efficienza-eneregetica/strategiacarbon-management/carbon-disclosure-project.shtmleper): un osservatorio che valuta la sensibilità ecologica delle grandi imprese, mentre l’analisi sul rapporto costi/benefici della situazione per le industrie ogni anno è redatta dal Global corporate climate change report (Gccr). La questione ecologica/climatica avrà anche costi economici elevati, soprattutto se non si interviene subito.
Secondo il CMCC, “Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici”, i danni economici legati a una mancata svolta in tema di politica ambientale globale si tradurrà in perdite nemmeno paragonabili a quelle dell’attuale crisi borsistica e portando al collasso del sistema economico mondiale. Il Centro, su invito del governo inglese, realizzò nel 2006 uno studio che fece scalpore: sostenne che il cambiamento del clima produrrà un disastro sociale ed economico paragonabile alle due guerre mondiali o alla depressione del ’29. Le multinazionali ne sono consapevoli e temendo tutto ciò iniziano ad attrezzarsi: le case automobilistiche Honda e Toyota stanno introducendo per prime motori ibridi sulle loro auto.
Sony, Nokia e Nike hanno sottoscritto con il WWF un impegno a ridurre le emissioni di CO2, perché “in un ambiente degradato non può fiorire il mercato”. Secondo un’analisi condotta dal “Carbon Disclosure Project” tutti gli industriali si dichiarano preoccupati e quasi tutti hanno un piano per ridurre le emissioni di gas serra, anche se pochi (il 29% degli intervistati) lo stanno già mettendo in pratica. L’unica consolazione è che la percentuale dei consapevoli cresce. Occorre dunque salvare l’ambiente e lottare contro la povertà.
Per ottenere questo le N. U. la Croce Rossa e le maggiori ONG ritengono che le linee direttrici da seguire siano due: da un lato occorrerà operare per la “mitigazione” del cambio climatico e dall’altra per trovare un nuovo adattamento alle modifiche per la società. Mitigare il cambio climatico significa ridurre i fattori che possono provocarlo (come le emissioni CO2).
Adattarsi significa investire in tecnologie e politiche che permettano ai paesi di sopportare la nuova realtà, pensando soprattutto ai paesi più poveri e alle fasce sociali più deboli. Non sarà facile concretizzare progetti e tecnologie “dolci” non invasive, capaci di integrare le esigenze ambientali e le ambizioni di progresso sociale, ma oltre all’impegno dei governi serve anche una scelta individuale, in favore di stili di vita sostenibili, basata su nuove politiche di sobrietà di vita. Una nuova sfida, a cui poco pensiamo, convinti che sia solo uno “spauracchio mediatico”, salvo poi confrontarsi con eventi alluvionali sempre più frequenti alle nostre latitudini, alternati a periodi siccitosi ed altri eventi meteorologici che un tempo si verificavano con cadenza assai differente.
Tutti questi fenomeni demografico-ecologici tengono occupati una moltitudine di scienziati (climatologi, biologi, ecc..) di tutto il mondo, tenuti nella massima considerazione dai governi più avvenuti, nonché dalle organizzazioni internazionali, giacché ormai fortemente sentita la necessità di trovare con la massima urgenza una soluzione per questi problemi, mai esistiti prima d’ora. Mentre il mondo della politica deve predisporre quanto di competenza per realizzare quei programmi necessari a conciliare le esigenze di un mondo globalizzato che avanza sempre maggiori pretese con un panorama sicuramente non idilliaco per il nostro pianeta, mentre i tecnici della protezione civile dovranno redigere piani di allarme e formulare risposte che permettano di evitare maggiori perdite di vite umane, tutti noi non possiamo che riflettere su un qualche cosa che non è lontano da un film di fantascienza che rischia di diventare realtà, ed abituarci a condurre una vita più sobria.
Anche la Croce Rossa ha da tempo avviato un percorso di analisi sociale d’impatto sul problema a livello internazionale, raccolto in Italia dai pionieri, ma che devono vederci tutti quanti coinvolti.
Conoscere il clima del nostro territorio, i fenomeni più violenti che la natura ci propone, all’interno del contesto di una realtà che cambia non può non vedere la Croce Rossa attiva protagonista nel preparare la popolazione a questi eventi e soprattutto nell’affiancarsi alle pubbliche istituzioni, quale ausiliaria nel tentativo di mitigare i danni attesi.
Si tratta di problemi così vasti che solo la comunità internazionale riunita può affrontare e per affrontare con successo la sfida di questi problemi d’enorme portata gli uomini hanno bisogno di nuovi concetti etici e morali.
Viaggio in Piemonte attraverso il clima che cambia è una missione che vedrà il sistema protezione civile e di educazione sanitaria della Croce Rossa Italiana prossimamente coinvolti.


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