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Del seguente articolo:

settembre-dicembre/2007 -
Dal Sinai guardando le dilaniate Terre Promesse
Antonio Sassone

Da lassù, dai 2.637 metri del Monastero di Santa Caterina,si ammirano
quelle terre abitate da popoli in perenne conflitto, terre insanguinate, teatro
di stragi, scenario di conflitti e di odi razziali, religiosi, di contese territoriali


Sono salito sul Sinai, il biblico monte dove Mosè ricevette le tavole della legge e tornò al suo popolo splendente di luce spirituale, come lo ha scolpito Michelangelo nello stupendo gruppo marmoreo di San Pietro in Vincoli, che ha affascinato un grande cineasta agnostico come Michelangelo (suggestione del nome) Antonioni, che nell'età anziana, infermo e in sedia a rotelle ha voluto farne un documentario. Da lassù, dai 2.637 metri del Monastero di Santa Caterina,si ammirano quella terre abitate da popoli in perenne conflitto, terre insanguinate, teatro di stragi, scenario di conflitti e di odi razziali, religiosi, di contese territoriali. Siamo in Egitto ed ecco da un lato Israele, di fronte la Giordania, la Palestina, la famigerata Striscia di Gaza, appena 378 kmq abitata da un milione e 400 mila palestinesi. Li abbraccia, questi stati, il Golfo di Aqaba. Più in là si stende il Mar Rosso e poi il Canale di Suez. Da una parte l'Europa, dall'altra le prime propaggini dell'Asia. Purtroppo un angolo di mondo ricco di storia e di bellezza ma dilaniato. Sessant'anni di guerre e di attentati da quando, nel 1948, venne proclamato lo Stato di Israele. Non più tardi di un anno fa, il 24 aprile del 2006, l'attentato a Dahab, proprio qui nel Sinai, fossa tettonica del Mar Rosso, fece 20 morti e 90 feriti. Le entrate del turismo sono state le prime a diminuire. Una terra che proprio dal lato turistico ha molto da offrire, insieme ai giacimenti petroliferi del Mar Rosso e gas naturale. Non si dimenticano le guerre, quella scatenata da Israele per occupare il Sinai, l'intervento dell'Onu per liberarlo, l'occupazione di Gaza, la sanguinosa guerra dei "Sei giorni" del 1967, quella del Kippur del 1972, l'ininterrotta guerriglia, fino agli accordi di Camp David del 1978, sempre messi in discussione, le azioni di Hamas e della Jihad.
Siamo venuti a Taba Heights, quest'altra meta turistica che il Governo egiziano - con l'ausilio e gli impegni di finanziatori europei, in particolare Belgi - ha voluto aprire per dare un sito gemello a Sherm El Sheikh,che per il suo successo straordinario appare saturo come Ostia o Milano Marittima d'estate. Per giungere a Taba bisogna passare da Il Cairo, e districarsi nella confusione di un grande aeroporto dove si incrociano arabi, ebrei, musulmani e dove facilmente d'imbatti in donne dal volto coperto dal burka, un accessorio che qui appare di lusso essendo ben tagliato e di ottima stoffa e non potrebbe essere altrimenti perché chi lo porta è sicuramente una donna emancipata, forse moglie di manager o di uno sceicco, e che domani vedremo con i jeans, gli occhiali, la macchina fotografica e la cinepresa. Ora dietro un velo imposto dalla religione, dal costume e dal potere intravedi occhi che luccicano come stelle. Dal Cairo a Taba, un'ora di volo, un aeroporto che sembra una stazione di campagna e via in pullman attraverso strade scavate in mezzo a rocce altissime come se si stesse attraversando il Gran Canyon. Non arriva il sole sul fondo della strada e questo aumenta il fascino in attesa di un paesaggio che prima o poi apparirà e che si chiama mare. Ecco, siamo in un altro "paradiso artificale" in mezzo alle rocce deserte, spianate dai bulldozer. E' nata così Taba Heigts" dove tutto è tranquillo e niente è normale. Si alzano hotel come moschee, con cupole gigantesche, saloni enormi, vastissime piscine ombreggiate da palmizi, siepi fiorite di bouganville tagliate basse, hybiscus tenuti a cespuglio, pini giovani, fiori. Spiegano che hanno incanalato l'acqua del Nilo per 200-300 km. Altri dicono che hanno desalinizzato l'acqua del mare. Quando si vuole la tecnologia può fare miracoli. E allora perché non applicarla su larga scala? Perché ci vorrebbero capitali immensi - rispondono. Ma davanti ad ogni hotel - o hotel resort con i suoi negozi, le saune, le beauty-farm, i centro-benessere - a centinaia di metri dall'ingresso ci sono sbarre guardate a vista. Pulmini di servizio e qualche auto: poche queste ultime in un ambiente dove non scorgi pedoni, motociclette, biciclette, carretti tipici dell'Africa, né autobus pubblici, perché qui - in definitiva - non siamo in un centro abitato da chicchessia, ma in un luogo di vacanza e di villeggiatura per privilegiati. Il caldo è forte e ci si protegge a bordo delle piscine sotto grandi ombrelloni o in riva alla spiaggia privata. Ad ogni albergo i mezzi devono fermarsi, dare garanzie e consentire i controlli. I controlli diventano severissimi se ti avvicini alle frontiere. Ecco quella con Israele, posta a pochi passi dall'hotel Hilton, di Taba (la prima Taba, non l'ottava, come questa in cui ci troviamo) dove ci fu l'attentato e dove trovarono la morte due ragazze italiane. Da lontano, in un'altura, sventola la bandiera israeliana. Una torre si alza a protezione. Soldati dappertutto. Vietato fare fotografie. Abbiamo fatto posare due donne: una italiana e una araba. Siamo riusciti a fare la foto. Se questo accade nell'ambito del territorio egiziano, molto più difficile diventa un'escursione a Gerusalemme. Si può. La "Città santa" a tutte le religioni monoteiste si può raggiungere, impiegando una giornata per andare e tornare. I promotori turistici la offrono, così come offrono di andare a vedere la favolosa Petra, o l'Isola dei Faraoni (detta anche Isola dei Coralli). Si può fare un "by night" nella Capitale, o una giornata intera con visita al Museo per ammirare ancora una volta Cleopatra, Ramsete, Toutankhamon, i coccodrilli e i gatti cui gli Egizi attribuirono proprietà divine. Così come al Sole, alla Luna. Ma ci si può inoltrare fino alle misteriose Piramidi, alla più bella, quella di Giza, o al più grandioso dei templi, quello di Luxor.
Per chi si trattiene un mese, tutte queste mete sono sicuramente appetibili. Per ora, specie i giovani, che vengono dal Belgio (sono qui a fare una specie di "Miss belgian") preferiscono passare la giornata tra piscina e spiaggia, tra breakfast e dinner, magari con una cena alla "beduina", cioè sdraiati sotto le tende tra cuscini e tappeti, con i cammelli sullo sfondo e danzatrici del ventre, autoctone o importate e danzatori che compiono evoluzioni sensazionali e interpretano le antiche movenze in chiave moderna. Banditi il vino e ogni sorta di alcolici, trionfano i sani cibi di queste terre: il couscous, il montone, gli ortaggi, i dolci a base di miele. Ma in realtà c'è molta Europa, molta internazionalizzazione, molta globalizzazione. Vengono ministri, finanzieri, imprenditori a parlarci del moderno Egitto, a cui bisogna onestamente riconoscere il ruolo di stabilità e di mediazione che esercita nel ribollente mondo mediorientale e mussulmano, e l'impulso che vuole dare ulteriormente al turismo in un nuovo quadro strategico basato su affidabili garanzie di sicurezza per i viaggiatori, i turisti, gli stranieri. Belgi, inglesi e francesi risultano essere, al momento, i più entusiastici frequentatori di queste zone. Perché gli italiani no? In attesa di trovare risposte esaurienti, ci piace rilevare un dato interessante e cioè che a queste attività sono addetti soprattutto giovani uomini: guidano lo shuttle da un albergo all'altro, da una spiaggia all'altra, fanno da guide, gestiscono i negozi, fanno le pulizie, servono ai pasti. Incontri persone che hanno lavorato in Italia ma poi hanno deciso di tornare qui. Ma ci sono anche italiani che hanno impiantato qui le loro attività, come un ex campione genovese di attività subacquee che col suo sottomarino ti sprofonda nelle viscere del mare o ti offre corsi accelerati di questa disciplina. Noi, come cristiani cattolici ricordiamo qui, sul Sinai, il roveto ardente nel quale Dio si mostrò a Mosè e gli diede i Dieci comandamenti, che prescrivono l'amore, oltre che per l'Essere Supremo, anche per il prossimo, impongono di non uccidere, di non odiare, di non perseguitare, di perdonare il nemico. Ci risuonano le parole di una persona colta, pia, un personaggio dei nostri giorni, il cardinal Martini, che è venuto a vivere a Gerusalemme e che dal Monte Sinai o Nebo ha espresso "come Mosè" "la certezza verso un cammino definitivo": l'unità del genere umano, "ancora tutta da compiere" ma che "qualcuno vedrà". In particolare si dovrà vedere "come le grandi religioni non cristiane potranno costituire una via di salvezza, dal momento che riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini". Un'esigenza che in queste plaghe, dove -secondo la Bibbia - scorreva latte e miele, oggi petrodollari e valuta turistica, ma dove purtroppo sibilano sinistramente i missili,appare più che mai urgente e appropriata.


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