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Del seguente articolo:

Novembre-Dicembre/2004 -
La legge sulla salute
Il fumo passivo - Quale tutela per la collettività
Carlo Rodorigo

Con questo articolo iniziamo a pubblicare e a commentare una serie di norme di legge, sociali e di etica contro la ‘sigaretta’ fumata in locali pubblici. Queste norme che dopo numerose proroghe dovrebbero andare in vigore il prossimo 10 gennaio. Pur efficaci nel pubblico, non sono però sufficienti a tutelare l’infanzia in casa quando vi sono, purtroppo ancora oggi, adulti che non si preoccupano a sufficienza di godersi la loro ‘fumata’ in presenza di minori. Di questo ne parleremo però più avanti. Per adesso esaminiamo quali sono gli obblighi nei locali di lavoro e in quelli pubblici.

La normativa vigente

Partendo dal fondamentale disposto dell’art. 32 della Costituzione, che individua la tutela della salute pubblica come diritto dell’individuo e interesse della collettività, la tutela dai rischi di esposizione al fumo passivo è stata storicamente ricondotta in termini generali alla norma di cui all’art 2087 c.c., che impone all’imprenditore di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Tale norma, secondo una interpretazione della Corte di Cassazione fatta propria dalla Corte Costituzionale, ha la funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento ai mutamenti della realtà socio-economica, andando quindi a colmare le lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio e che può così’ essere adeguata al caso concreto.
L’intera problematica relativa al divieto di fumare in Italia, si concentra tuttavia nel concreto sulla L. 11 novembre 1975, n. 584, che ha introdotto nel nostro ordinamento il divieto di fumare in una serie tassativamente indicata di locali e sui mezzi di trasporto pubblico (art. 1 lett. a) e b)).
Per i conduttori di alcuni di questi locali, inoltre, il legislatore ha previsto la possibilità di esenzione dall’osservanza del divieto in caso di installazione di un impianto di condizionamento dell’aria o di ventilazione. Tali impianti per essere riconosciuti idonei ed ottenere così l’autorizzazione da parte del sindaco (sentito l’ufficiale sanitario) devono avere i requisiti indicati nel D.M. 18 maggio 1976.
La legge, va comunque preliminarmente chiarito, non prevede alcun divieto generalizzato di fumo negli ambienti di lavoro. Nella necessità, infatti, di recepire numerose direttive europee in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, è stato emanato il D.lgs. n. 626/1994 il quale, oltre a prevedere un incondizionato (e solitario) divieto di fumo nei luoghi di lavoro limitatamente alle aree esposte ad agenti cancerogeni e biologici (artt. 60 e 80), dispone che il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’azienda, debba valutare, anche nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, adottando le misure necessarie e aggiornando le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza, riaffermando l’obbligo di adeguare i luoghi di lavoro alle prescrizioni di sicurezza e di salute.
L’art. 33 del citato decreto richiede inoltre che nei locali di riposo si adottino misure adeguate per la protezione dei non fumatori.
Con riguardo in modo specifico alla salubrità dell’aria nei luoghi di lavoro chiusi, l’art. 16 D.lgs. 242/1996, a modifica dell’art. 9 D.P.R. 303/1956, sancisce la necessità che i lavoratori dispongano di aria salubre in quantità sufficiente, anche ottenuta con impianti di areazione. Infine, il succitato art. 9, dispone che qualsiasi sedimento che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all’inquinamento dell’aria respirata deve essere eliminato rapidamente.
Nel panorama normativo specifico relativo ai luoghi di lavoro chiusi, si inserisce da ultima la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995, riguardante il divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori dei servizi pubblici, la quale offre una interpretazione estensiva dell’elenco dei locali pubblici o aperti al pubblico per i quali vige il divieto di fumare ex art. 1 L. 584/1975.

Il divieto nei locali pubblici o aperti al pubblico.

Le norme riguardanti il divieto di fumare contenute nella L. 584/75 consentono, a grandi linee, di dividere la problematica in due settori:
- il divieto di fumo nei locali pubblici o adibiti a pubblica riunione e su mezzi di trasporto pubblico;
- il divieto di fumo nei luoghi di lavoro chiusi, pubblici o privati, non aperti al pubblico.
Procedendo con ordine all’analisi della prima delle due categorie, si evidenzia con particolare riguardo ai locali pubblici o adibiti a pubblica riunione la volontà legislativa di tassativa elencazione dei locali ove imporre il divieto di fumo.
Così, in particolare, il divieto viene prescritto:
lett. a) nelle corsie degli ospedali; nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado; negli autoveicoli di proprietà dello stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone; nelle metropolitane; nelle sale di attesa delle stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime e aeroportuali; nei compartimenti ferroviari riservati ai non fumatori che devono essere posti in ogni convoglio viaggiatori delle ferrovie dello Stato e nei convogli viaggiatori delle ferrovie date in concessione ai privati; nei compartimenti a cuccette e in quelli delle carrozze letto, occupati da più di una persona, durante il servizio di notte;
lett. b) nei locali chiusi che siano adibiti a pubblica riunione, nelle sale chiuse di spettacolo cinematografico o teatrale, nelle sale chiuse da ballo, nelle sale-corse, nelle sale di riunione delle accademie, nei musei, nelle biblioteche e nelle sale di lettura aperte al pubblico, nelle pinacoteche e nelle gallerie d’arte pubbliche o aperte al pubblico.

(continua)


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